Regia: Marco Bechis.
Sceneggiatura: Marco Bechis e Lara Fremder.
Fotografia: Fabio Cianchetti.
Montaggio: Jacopo Quadri.
Scenografia e costumi: Caterin Giargia.
Musica: Jacques Lederlin, Daniel Buira.
Suono: Tullio Morganti.
Interpreti e personaggi: Carlos Echevarria (Javier Ramos, il figlio), Giulia Sarano (Rosa Riggieri, la “sorella” di Javier), Stefania Sandrelli (Victoria Ramos, la “madre” di Javier), Enrique Pineyro (Raul Ramos, il padre di Javier).
Produzione: Vittorio Cecchi Gori e Amedeo Pagani, per C.G. Group/Fin.Ma.Vi./Storie.
Distribuzione: Cecchi Gori.
Durata: 100′.
Origine: Italia, 2001.

“Nel cuore dell’inverno imparai che vi era in me un’estate invincibile”. Albert Camus.

“Nel film parlo del sequestro e del traffico dei bambini nati dai desaparecidos, reso pubblico da Las abuelas de la Plaza de Mayo (Le nonne della Piazza di Maggio) [1], che hanno una loro banca genetica. Bisogna cercare la verità, ognuno ha il diritto di sapere chi è. Il pensiero conformista di destra dice: «Non bisogna cercare questi giovani, vanno lasciati in pace, non dobbiamo turbare la loro tranquillità familiare». Io credo che anche dopo vent’anni bisogna cercare la verità, smascherare i responsabili del sequestro dei bambini, che spesso sono anche i responsabili della scomparsa dei veri genitori”. Marco Bechis [2].

“Buenos Aires, 9 Dicembre 1977. Una giovane prigioniera politica partorisce due gemelli. Uno (maschio) viene consegnato ai militari che l’hanno imprigionata, l’altro (femmina) viene salvato dall’ostetrica e sottratto alla adozione forzata da parte di famiglie di torturatori o di loro amici. Milano, 9 Dicembre 2000: Javier, figlio di un argentino e di un’italiana, 23 anni, è da qualche tempo in contatto via e-mail con Rosa, una coetanea che abita a Buenos Aires e che è convinta di essere sua sorella naturale.
Javier tiene nascosta questa corrispondenza ai genitori.
La ragazza arriva a Milano e incontra Javier che, dapprima e incredulo e rifiuta di riconoscere come vera la storia raccontata da Rosa, ma in seguito è assalito da molti dubbi sulla storia della sua nascita e sul ruolo dei suoi genitori.
Rosa e Javier si recano a Barcellona dove vive l’ostetrica che salvò Rosa al momento della sua nascita e si sottopongono alla prova del DNA.

Senza ombra di dubbio risulta che non sono fratelli.
Rosa è disperata, Javier deluso e pieno di rabbia.
La sequenza finale vedrà i due giovani insieme, nelle strade di Buenos Aires, in un corteo organizzato dalle Nonne di Piazza di Maggio.
La ricerca della verità storica ha unito due destini che la verità di nascita non è riuscita a identificare”.

Da un punto di vista psicologico la vicenda si dipana su due piani, il primo, più pregnante da un punto di vista di impatto emotivo è la ricostruzione di una unità familiare, o di quello che resta, l’altro, più brechtianamente concepito come progresso del tempo, è quello del ritrovamento di una dimensione politica che dia vita alla verità, relegando la menzogna nel territorio della vergogna.
L’ultima sequenza riguarda appunto l’identificazione dell’abitazione di un torturatore e il corteo che lo indica agli occhi dell’opinione pubblica. Nel campo dell’Io sociale e della Legge non c’è posto per chi ha tradito i principi di una società sancita fin dai primordi dai principi che hanno dato vita alla civiltà (“…dal dì che nozze, tribunali ed are…”).
Tutto di fondo, ma ben presente, è appunto questo sforzo di trovare tribunali e cimiteri, i primi per ristabilire quella giustizia senza la quale è impossibile la pace, i secondi per potere onorare con la memoria le vittime.

È un film con uno sguardo iconico particolare, si situa in basso e si allontana dalle figure nel campo della visione, come la direzione dello sguardo di Javier quando si getta col paracadute da un aereo (è un appassionato di paracadutismo sportivo).
La sequenza è di perfetto accordo col film precedente di Marco Bechis, “Garage Olimpo”: nelle inquadrature terminali della sequenza finale si vedeva un aereo dell’Aereonautica Militare Argentina che apriva un portellone, da cui sarebbero caduti, in seminconscienza provocata da farmaci, i corpi dei sequestrati dai militari che, caduti nelle acque del Rio della Plata, sarebbero diventati desaparecidos.
Javier probabilmente è figlio di una prigioniera scomparsa e, buttandosi dall’aero col paracadute, percorre spazialmente l’ultimo viaggio di sua madre, in maniera del tutto inconsapevole.
Il film è costruito sui pilastri fondamentali delle acquisizioni di conoscenza: vedere e sapere,
stabilire la verità, ricercare un’identità, riconoscere la vicinanza della diversità (l’essere fratelli), ricostruire una sicurezza primaria.
Lievi echi di mito per converso percorrono la narrazione: Rosa è un’Antigone della ricomparsa dalla sepoltura della storia, l’ostetrica ha il ruolo fuggevole del pastore che salva Edipo dalla morte decretata dal padre. In “Garage Olimpo” c’è una madre che cerca disperatamente una figlia, in “Figli-Hijos” una sorella che cerca disperatamente un fratello ignoto.
La famiglia di Javier è la connessura mistificata di un familismo criminale, di un possesso perverso, del gesto di un nemico che nega l’umanità del prigioniero cancellando l’identità dei figli dei “sovversivi”, che così sarebbero cresciuti come “figli della patria”, lontano dall’influenza delle loro famiglie naturali, di coloro che erano rimasti [3].
La costituzione della verità, all’interno del film, non è tanto in funzione della ricomparsa di una famiglia, la prova genetica non darà l’esito sperato da Rosa, quanto la rinascita di una realtà negata, straziata, in cui dare una famiglia ad un bambino ha avuto come precedente l’annientamento della famiglia che lo aveva messo al mondo [4].
La ricerca della vicenda filmica sfocia nel ritrovamento di una comunità, che non ha il sangue come vincolo, ma la istituzione di una convivenza civile, di una politica.

Tutto il film è politico, non nel senso letterale di un contenuto che parli di dimensione politica, ma di un aspetto di “fattura”, cioè, come dice Godard, “fatto politicamente”, con gli occhi vivi di un Erich Fromm del cinema, attento a che la socialità esca da cellule minime, ma basilari, come due fratelli, non tanto di sangue, ma di vicende: l’uno violentemente, anche se inconsapevolmente, proiettato in una realtà ovattata, che oblitera la violenza e ne violenta l’identità, l’altra lasciata sola a cercare l’elemento naturale separato dalla crudeltà di una storia assassina. La vera politica, cioè, è la vincita della solitudine creata col crimine.
Nessuna pacificazione può nascere dal silenzio come allontanamento paranoico da una sofferenza di cui inconsapevoli colpevoli sono anche coloro che non hanno fatto e che non sapevano, ma che non potevano non immaginare.

È il mondo sotterraneo che emerge negli occhi di Rosa e di Javier, quel mondo di trecento campi clandestini di annientamento che, nel 1978, anno dei campionati mondiali di calcio, erano funzionanti su tutto il territorio della nazione argentina. Migliaia di giornalisti erano accreditati per seguire i campionati del mondo e nessuno si sentì di sospettare quello che già i primi “fortunati” esuli fuoriusciti avevano comunicato al mondo.
Ma, già come era successo per coloro che denunciarono per primi i crimini nazisti, non vennero creduti.

Ogni piccolo risarcimento, ogni giustizia ristabilita (l’identificazione di un criminale rifugiato nella tana metropolitana della sua casa, fiducioso che la gente si stancherà di vedere ricordi di tragedie e vorrà condurre una vita “normale”) [5] è garanzia della fine dell’impunità di chi ha destabilizzato una società intera in nome dell’annientamento politico di qualsiasi “oppositore” e dell’oblio dei suoi discendenti (i figli dati a genitori “illegittimi”) [6].

Il film ha un aspetto di contenuto quasi bipolare, da un lato la costruzione sequenziale del noir, con l’agnizione della falsa identificazione genetica, e dall’altro il procedere da apologo sul diritto alla sicurezza primaria, all’identità, come una moderna tragedia della scomparsa e della successiva salvezza.
Da un punto di vista iconico è tessuto con colori di luce molto ardui, chiari e allo stesso tempo complici di ambiguità, così come ambiguo è l’ambiente familiare di Javier, dove gli esterni sono illuminati dall’illusione della nebbia padana e gli interni hanno tagli duri che confondono lo sguardo più che orientarlo, come se contemporaneamente la visione fosse orientata sul vedere e non vedere.
Con questo film Bechis ha messo un punto fermo sia alla sua storia (nel 1977 fu sequestrato dalla polizia militare per sei mesi e poi espulso dall’Argentina) sia alla generazione di appartenenza. Non è la retorica quella che guida il film, ma un’attenzione empatica e matura che fa assurgere la sofferenza a dolorosa coscienza del presente, spesso ottuso da una visione “rosa” che nasconde le ceneri calde dei geni del massacro. La dolcezza di due fratelli è la politica più autentica, contro l’oblio scisso di una quiete mortale e indifferente, latrice di nuova violenza.


NOTE
[1] La Nonne della Piazza di Maggio è un’organizzazione costituita dalle madri di ragazze incinte, sequestrate dai militari durante la dittatura dei generali (1976-1984) e mai più ricomparse. Sono rimaste in vita, durante la prigionia, fino al momento del parto. I figli sono stati sequestrati dai militari e dati in adozione a militari stessi o a simpatizzanti della dittatura. Le madri sono state uccise dopo la nascita dei loro figli. Le Nonne cercano di ritrovare i nipoti.
[2] MARCO BECHIS, in “Filmcritica”, rivista, n. 25 Gennaio 2002.
[3] Alla fine degli anni 70, secondo le ricerche dell’Associazione delle Nonne della Piazza di Maggio, i bambini nati da madri prigioniere e loro sottratti dopo la nascita erano circa cinquecento. Fino ad ora (inizi del 2003) soltanto 72 sono stati individuati. Di questi 68 sono tornati a vivere con le loro famiglie naturali, 4 sono rimasti con le famiglie che li hanno forzatamente adottati.
[4] Il regista Luis Puenzo ha raccontato, nel film “La storia ufficiale” (1985), una vicenda che ha punti di analogia col film di Bechis, ma con un tratto drammatico in più. Nella famiglia di una ex militare, in cui è stato adottato un bambino, nella madre, che ignora la vera storia dell’adozione, si fa strada piano piano la verità. La scoperta della verità (il bambino è figlio di scomparsi) incrina soprattutto il legame col marito, che si rivela un estraneo che si è costruito un’identità falsa, scoperta dalla moglie, nella ricerca profonda di tutelare l’origine vera del figlio, più che di difendere il suo ruolo di madre.
[5] È soprattutto l’Associazione dei figli degli scomparsi (che si chiama, appunto, Hijos, un acronimo che sta per Hijos por la identidad y la justicia contra el Olvido y el Silencio) che ha trovato un sistema di denuncia che si chiama escrache (in italiano si potrebbe tradurre come “sputtanamento”). Consiste, dopo aver individuato la casa dove abita un torturatore, di andarci in corteo e di segnare con la vernice sul muro questa scoperta.
[6] Dal ritorno della democrazia, dopo la sconfitta inflitta dagli Inglesi nella guerra per le isole Malvine e la conseguente caduta della giunta militare, i nuovi governi non si sono mossi nella necessità di appurare le responsabilità dei criminali. Due leggi in particolare, della “Obediencia debida” e del “Punto final” hanno teso a seppellire la ricerca degli assassini ed a chiudere paranoicamente una pagina di storia che dovrebbe essere materia della psichiatria criminale.

Giovanni Lancellotti
Psicologo psicoterapeuta SCRIPT Centro Psicologia Umanistica

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