Pietro Pellegrini legge

FABIO VANNI La consultazione psicologica con l’adolescente. Franco Angeli, 2014
Fabio Vanni, nato a Lucca il 10.9.1960, è psicologo e psicoterapeuta (Albo Emilia Romagna n°1306).
E’ socio ordinario della S.I.P.Re., supervisore nell’area dell’adolescenza, membro O.P.I.F.E.R. (Organizzazione Psicoanalisti Italiani Federazione e Registro) e I.F.P.S. (International Federation of Psychoanalytic Societies).
Lavora all’AUSL di Parma dal 1990, in prevalenza nei servizi per l’età evolutiva.
E’ responsabile per l’AUSL dello ‘Spazio Giovani’, il consultorio per adolescenti, e della formazione pre e post lauream in psicologia e psicoterapia.
Fabio Vanni, psicologo e psicoterapeuta esperto, continua la riflessione sull’adolescenza e sulla consultazione psicologica ritenuta l’intervento principale per iniziare a “dare una mano” ad adolescenti in difficoltà.
Nella prima parte del testo vengono riepilogate le principali posizioni teoriche, arricchite anche da alcune delle più recenti scoperte nell’ambito delle neuroscienze, da considerazioni di etnopsichiatria nonché da concezioni teoriche orientate alla complessità (Morin). Vengono poi menzionati i più noti modelli d’intervento in adolescenza. Diversi casi clinici, affrontati in diversi setting, evidenziano come sia centrale la qualità dell’incontro fra terapeuta e adolescente, ritenuto unico e irripetibile: un incontro scevro da pregiudizi e possibilmente non condizionato da finalità troppo esplicite o da procedure rigide, da sistemi diagnostici stringenti.
È questa la base per la relazione di fiducia orientata alla co-costruzione dell’eventuale programma di cura.
Nella sua ricca ed apprezzabile impostazione teorica lascia aperti alcuni aspetti sui quali riflettere. Il primo è la questione del rapporto tra adolescenza e psicoanalisi. Se da un lato è ritenuta scarsa l’attenzione riservata all’adolescenza (pag. 25), dall’altro viene sottolineata l’evoluzione della psicoanalisi (“del conflitto”, “del deficit”, “relazionale”) e il tutto approda nella considerazione circa l’utilità “di uscire da visioni ristrette e settoriali nonché disciplinarmente confinate” (pag 27). Ne esce una linea centrata sui compiti evolutivi specifici dell’adolescenza: mentalizzazione del corpo sessuato, allontanamento dalla nicchia affettiva primaria, nascita sociale e costruzione degli ideali che dà luogo ad una normatività evolutiva che lo stesso autore mette in discussione alla luce della letteratura antropologica ed etnografica, in favore di una soggettività che “sviluppa una sua traiettoria unica e irripetibile anche in relazione al contesto (in senso ampio) nel quale si colloca la vita stessa” (pag 31). E se questo appare (quasi) ovvio, vi è il rischio che la teoria si riduca ad alcune funzioni dell’Io come il “mantenere nel tempo unità e coerenza come soggetti all’interno del loro ambiente” (pag.33). In altre parole, manca una visione evolutiva, sul come unità e coerenza, identità, ruoli, ecc. si possano costituire nella relazione su una “base”, come insegnano le teorie dell’attaccamento. Sembra che la vita che ha preceduto l’adolescenza sia “inattingibile” e tutto si concentra sulla necessità di favorire “la qualità trasformativa dell’intervento terapeutico” che consiste nella sua capacità di mettere in luce la relatività soggettiva di un movimento, la possibilità di altre visioni, l’incoraggiamento della loro sperimentazione. La non conferma dell’immutabilità della prospettiva esistente, del significato attribuito come “dato”, come lettura “obbligata”. Ad un altro livello “la cura consiste nell’aiuta-re(rsi) a non farsi saturare dalla propria eventuale psicopatologia.” In questo, l’asse dell’intervento viene spostato dal passato-presente al presente-futuro (futurizzazione) e il setting reso al massimo flessibile. Una posizione “euristica” che non costituisce una caratteristica specifica dell’approccio psicoanalitico e può essere comune ad altri interventi ad esempio di tipo educativo, sociale, scolastico. Perché se la chiave è il rimettere in moto un processo evolutivo bloccato va riconosciuta la valenza trasformativa di ogni incontro interpersonale. A questo punto la domanda: quale è lo specifico degli psicoterapeuti?
Secondo: adolescenza e psicopatologia. Si ha l’impressione che la psicopatologia venga messa fra parentesi, una sorta di “normalizzazione” che può avere diverse conseguenze. Positive, se espressione di mancanza di letture pregiudizialmente patologizzanti e stigmatizzanti, o ancora se ci si trova di fronte a quadri che non possono essere curati o non rispondono alle cure ma assai negative se portano a non formulare per tempo le diagnosi (lasciandole a lungo indefinite e implicite) con la conseguenza di non prestare gli adeguati trattamenti, ad esempio nell’esordio psicotico, nella depressione grave, nel DOC, come invece indicato/suggerito dalle linee guida e dall’EBM.
Il rapporto normalità/patologia è sfumato e con aree grigie, ma poco viene detto sulla patologia mentale grave che pure ha l’esordio nell’adolescenza. Come affrontare le situazioni nelle quali l’adolescenza non è che il momento in cui si evidenziano deficit di vario tipo, sofferenze, esiti di traumi e violenze o disturbi preesistenti?
Temi che Fabio Vanni, insieme ai diversi collaboratori, certamente potrà affrontare in futuro.
Infine un’annotazione sul setting, ed in particolare sul “setting interno” che indica “come sia l’analista che porta con sé una struttura di funzionamento fatta di funzioni più che di regole o altro che gli può consentire di fare il suo lavoro pressoché ovunque” e consente di operare a domicilio del paziente, la scuola, presso il pronto soccorso, in setting “flessibili”. Tuttavia mi pare sia necessario un approfondimento specie nei contesti molto complessi dove operano diversi professionisti spesso collocati in diverse articolazioni organizzative. Al centro si trova il paziente con il quale, le attività dei singoli professionisti costruiscono un percorso di cura in un quadro composito. Questo richiede la collaborazione fra i diversi professionisti per avere sequenze coerenti e dotate di senso. Solo attraverso un metodo si crea la trama della cura che porta all’identità. Quindi pur nella variabilità dell’esperienze, si può cercare di costruire interventi coerenti, anche se sempre aperti a riflessioni, curiosità, sorprese e approfondimenti.
Il riferimento al setting e alle equipe multiprofessionali tipiche del sistema pubblico e del lavoro con i pazienti più gravi, richiedono percorsi formativi, esperienziali e relazionali attraverso i quali si possa sviluppare la “personalità terapeutica”, il lavoro in/di gruppo e quando necessaria, la continuità dei percorsi. Questo in particolare in adolescenza dove insegnare, educare e curare/prendersi cura hanno confini sfumati.
Per quanto attiene alla terapia, questa ha il duplice scopo di favorire la creazione dell’identità del soggetto e, al contempo, di prendersi cura della persona e della sua psicopatologia, dandovi senso in un contesto e in una storia, tramite una relazione autentica, a fianco del paziente, considerato come soggetto esperto, responsabile e soprattutto libero.
Un testo interessante per una pluralità di soggetti che lavorano o si trovano a contatto con gli adolescenti. Nello specifico dell’incontro con il mondo della salute mentale, con le sue componenti biologiche, psicologiche e sociali, la psicoanalisi dell’adolescenza può anche contribuire alla formazione degli operatori, al lavoro in equipe e alla costruzione di una cultura della complessità.

Pietro Pellegrini
Psichiatra, Ausl Parma Via Vasari, 13 43126 Parma. E-mail: ppellegrini(at)ausl.pr.it

Share This