L’uso della metafora è stata una modalità di rappresentare in simboli alcune funzioni dell’inconscio in psicanalisi. Tale uso sembra essersi un po’ perso, per la maggiore attenzione che le scienze, soprattutto l’infant research, hanno riposto sul funzionamento del bambino e sul funzionamento psico-fisiologico più in generale dell’uomo. In realtà, a mio avviso, il riprendere l’uso della metafora, ed in particolar modo i simboli, non è in contraddizione con l’acquisizione delle nuove conoscenze scientifiche. Anzi, collegate a queste, possono aiutarci ad ampliare il nostro modo di rappresentazione della funzionalità psichica.
Uno dei lavori classici più rappresentativi, ripresi metaforicamente dalla psicoanalisi, è senza alcun dubbio l’Edipo Re di Sofocle (17).  Il complesso di Edipo, ripreso da questa tragedia e formulato da Freud (6), è stato utilizzato dallo stesso autore come un modo per rappresentare la tendenza dell’uomo verso il genitore dell’altro sesso e contemporaneamente la paura di castrazione indotta da quello dello stesso sesso, soprattutto nel maschio, senza tenere nella dovuta considerazione l’incidenza che possono avere svariati fattori ambientali nella formazione del sistema-uomo (che indichiamo come Io-soggetto) a cominciare da ciò che accade nelle prime interazioni madre-bambino.
Hartmann (9) è stato fra i primi a concettualizzare diversamente la formazione dell’identità dell’Io,  prendendo in considerazione in particolar modo il rapporto di quest’ultimo con l’ambiente. Difatti, quest’ultimo non può essere valutato nella sua interezza se si trascura il rapporto con l’ambiente.  Secondo lo stesso autore “il grado di capacità d’adattamento può essere determinato solo in rapporto alle situazioni ambientali. (..) L’adattamento viene garantito (..) da un lato dall’equipaggiamento originario dell’uomo e dalla maturazione dei suoi apparati, dall’altro da quelle azioni umane regolate dall’Io che (usando tale equipaggiamento) migliorano attivamente i rapporti con l’ambiente, compensandone eventuali turbamenti. Il rapporto esistente tra l’individuo e l’ambiente è uno dei fattori che determina quali reazioni egli saprà usare in questo processo e la scelta prevalente di un tipo o dell’altro di reazione. (..) I processi dell’adattamento subiscono l’influenza della costituzione dell’ambiente, e più direttamente vengono determinati dalla fase ontogenica dell’organismo. (..) L’uomo vive non solo nella propria generazione, ma anche in quelle passate. In tal modo si forma un tessuto di identificazioni e di formazioni ideali importantissime per le possibilità e le forme dell’adattamento. (..) La necessità che l’uomo si adatti all’uomo è presente fin dall’inizio della sua vita; inoltre l’uomo si adatta a un ambiente, parte del quale non è stata ancora trasformata dai suoi simili e da lui stesso. (..) Dunque l’uomo deve adattarsi alla struttura sociale e contribuire a crearla” (Hartmann 1939). Secondo lo stesso autore, anche il Super-Io ha la sua importanza se viene però concettualizzato come istanza che ha la sua incidenza nell’adattamento all’ambiente circostante. Facendo un breve escursus sulla riconcettualizzazione attuale dei termini Io, Es e Super-io, potremmo oggi utilizzarli soltanto se viene allargato il riferimento epistemologico di base. In tal senso l’Es può essere descritto come il bagaglio biologico dell’individuo (nel senso sia di potenzialità che limiti). Possiamo ipotizzarlo come l’arousal, cioè il grado di attivazione del neonato, e quindi la sua più o meno predisposizione, al momento della nascita, all’interazione con il caregiver. Invece il Super-Io può essere pensato come le tracce delle identificazioni primarie (accennate anche da Hartmann sopra) costituitesi inizialmente con le figure genitoriali, sulle quali verranno edificate le successive che dovranno sempre confrontarsi con le prime.
A tal punto secondo Solms (18), il neonato, a partire dalle prime esperienze relazionali con il caregiver, svilupperà una sua rete associativa.
Se quindi nei primi mesi di vita è fondamentale ed esiste principalmente la categoria “madre”, successivamente a partire dalle modalità con cui questa si è costituita se ne formeranno altre rappresentative come padre, nonno, nonna e così via, fino a costituirne altre con il crescere dell’età come quella, ad es., di amica, moglie, che sicuramente hanno qualcosa di caratteristico con la categoria di base della madre, un’impronta,  ma di fatto ne costituiranno altre a sé stanti che, se si discosteranno dalla categoria madre,  a loro volta potranno incidere su quest’ultima, come dimostrato da alcuni studi sui caregiver multipli (Howes, 1999).
Nel contempo, se consideriamo che tra  il bambino e la madre si comincia a co-costruire una relazione che porterà ad un cambiamento di entrambi sia nella relazione sia nelle modalità di legame, coerentemente con la strutturazione dell’interazione del modello di Tronick,  avremmo che anche la stessa relazione avrà una sua evoluzione. Per fare un esempio, se storicamente il bambino a 5 aa attua delle strategie inconsce per riuscire ad avere maggiore vicinanza con la madre, quando avrà 30 aa le stesse verranno attuate più nei confronti della moglie che della madre. Di fatto, quindi, ci sarà nel reale un rapporto diverso con la madre, ma le modalità relazionali inconsce verranno mantenute in tutte le situazioni in cui l’individuo si troverà di fronte a persone emotivamente importanti.
Si viene a formare cioè un reticolo relazionale a forma piramidale (vedi schema sotto).

Reticolo piramidale relazionale

 

In questo schema la linea verticale tratteggiata verde, suddivide la piramide in due zone (M= maschile; F=femminile), che sono in contatto tra loro. Con M e F si intendono quelle modalità di legame che si vengono a creare rispettivamente con soggetti di sesso maschile e femminile che caratterizzano le varie categorie (madre, padre, nonno, ecc.). Le linee tratteggiate indicano che la stadiazione (es. zio, zio1, ecc.) continua con il progredire dell’età e lo sviluppo delle singole relazioni. In rosso è segnalata l’origine delle varie categorie, il cui ordine è puramente indicativo (ad es. un fratello minore può costruire la categoria sorella prima di quella dei nonni, dal momento che con lei, essendo la maggiore, ha avuto dei contatti precedenti e continui rispetto a quello con gli stessi). Avere dei contatti e dei rapporti continuativi con un’altra persona porta alla costruzione di specifiche categorie. Rapporti rappresentativi con altre figure emotive importanti successive (vedi ad es. i nonni), possono influenzare quella con la madre che è precedente. Quindi originariamente c’è il rapporto con il caregiver (la madre) che si evolve in madre 1, madre 2, ecc, così come quelli che si vengono a costituire successivamente.
Madre (1) avrà nella sua caratteristica di modalità di legame una radice che è la stessa di madre (0), ma nello stesso tempo rappresenterà qualcosa di nuovo.
Nelle categorie che si vengono a formare successivamente avverrà lo stesso, ad esempio avremo moglie (0), moglie (1) ecc. In più la stessa categoria moglie avrà qualcosa in comune, una radice della categoria madre (0), ma nello stesso tempo sarà una categoria con delle sue specifiche caratteristiche che andrà incontro ad una sua evoluzione (moglie 1, moglie 2, ecc.). Ovviamente il riferimento moglie o marito dipenderà se parliamo rispettivamente di uomo o donna.
Ognuno di noi quindi svilupperà delle categorie interazionali specifiche, ognuna delle quali avrà delle caratteristiche proprie ed altre in comune.
Se, ad esempio, il bambino ha cominciato a sviluppare un attaccamento sicuro con la madre, sarà più agevolato a costruire rapporti con le stesse caratteristiche con la maestra prima e poi con la futura moglie. Inoltre, se ci saranno delle caratteristiche in comuni nelle modalità di legame tra le categorie maestra e moglie con quella della madre, nello stesso tempo si avrà (in età diverse) una distinzione chiara che il rapporto con la maestra e quello con la madre non sono la stessa cosa. Con modalità di legame intendo, in accordo con Kaes, quelle strategie inconsce che vengono attuate per rimanere vicino alla figura di attaccamento internalizzata (vedi ad es. i tentativi che fa il neonato con lo sguardo e i richiami vocali per destare l’attenzione della madre).
Tutto ciò ci evidenzia che l’Io, visto nella sua unità di Io-soggetto, dovrà sempre confrontarsi con l’Es ed il Super-Io in un contesto epistemologico diverso. In questa concezione sono in parte conservate le iniziali concettualizzazioni di Freud sulle radici del conflitto tra le istanze psichiche (espresse in “Inibizione, sintomo ed angoscia”) che sarebbero di origine biologica, filogenetica e psichica.
A mio avviso, però, se possiamo essere  d’accordo con lo stesso autore che “quello biologico è la protratta impotenza e dipendenza del bambino piccolo (..) e genera il bisogno di essere amati”, per quanto riguarda quello psicologico e filogenetico, dobbiamo riferirci alle nuove scoperte dell’infant research ed agli studi sull’attaccamento. Difatti, secondo gli studi condotti da Bowlby ed i suoi successori (in primis la Ainswort e la Target), è stato evidenziato come attaccamenti disorganizzati ed insicuro-ambivalenti nel bambino (legati a comparsa successiva di psicopatologie psichiatriche), fossero molto spesso associati a madre ansiose ed insicure che spesso erano cresciute in ambiente relazionale simile con i propri genitori. Ciò può spiegare perché in alcune famiglie rispetto ad altre c’è una maggiore predisposizione a certi tipi di patologia (vedi psicosi, depressione). Quindi secondo tale prospettiva, da un punto di vista filogenetico, può essere importante lo studio delle relazioni intergenerazionali che portano ad una individuale elaborazione psicologica da parte dell’Io-soggetto. Per quanto riguarda il terzo aspetto, quello psicologico, trovo interessante il concetto di “neotenia evolutiva” di Lapassade (13), cioè che “l’uomo conserva, dal punto di vista psicologico, le caratteristiche della prematurità e dell’immaturità e sono queste caratteristiche che ne permettono lo sviluppo specificatamente umano” (De Simone, 2002).  Queste nuove prospettive devono essere integrate dagli studi sull’infant research, secondo i quali il bambino è portato ad acquisire nuove conoscenze ed un suo ruolo identitario all’interno di una cornice relazionale che si instaura fin dall’inizio con il caregiver (11).
“Seguendo Fornari, possiamo dire che la mascolinità e la femminilità si costituiscono in una relazione di scambio in cui non c’è più quella urgenza della scarica libidica, che porta alla simbolizzazione confusiva fra ciò che attiene all’adulto e ciò che attiene al bambino, ma c’è una relazione basata sulla reciprocità simmetrica, cioè un codice genitale basato sullo scambio. Inoltre oggi ci sentiamo autorizzati a pensare che non è la scarica/soddisfazione della libido che muove precipuamente il bambino, ma è proprio la tensione verso la relazione (che pure promuove la conoscenza). Un bambino, un adolescente, un essere umano che si muove alla ricerca di un suo spazio nel mondo, mi sembra essere più interessato a creare situazioni relazionali e nuovi legami che non a mantenere basso il livello della tensione” (De Simone 2002).(4)
Questa angolazione apre verso un altro aspetto del mito di Edipo trascurato da Freud: la conoscenza. La conoscenza tramite l’interazione con un altro significativo.
Difatti secondo il mito, Edipo, dopo aver saputo dall’oracolo di Delfi che avrebbe ucciso il padre e sposato la madre, fugge da Corinto (dove viveva con i suoi genitori adottivi) per recarsi a Tebe. Nel percorso incontra Laio (il vero padre, che nel frattempo stava andando a Delfi per chiedere consigli all’oracolo su come liberare Tebe dalla Sfinge, che divorava all’entrata della città chi non rispondeva ai suoi enigmi) che inconsapevolmente uccide dopo una colluttazione. Arrivato a Tebe e debellata la Sfinge, rispondendo ad un suo enigma, sposa la regina nel frattempo rimasta vedova (la vera madre). Anni dopo, a causa di una pestilenza, Edipo interroga nuovamente l’oracolo che intima di scacciare da Tebe l’uccisore di Laio. Quindi inconsapevolmente Edipo va alla tragica ricerca della conoscenza di se stesso e, scoperto di essere il colpevole parricida ed incestuoso, si acceca con una fibbia delle vesti di Giocasta che nel frattempo si era impiccata.
Sulla ricerca della conoscenza e sulla tendenza alla ricerca della verità su cui verte il mito, si delinea una nuova visione che ha come capofila Bion (2). Anche le concettualizzazioni di Winnicott (20) sono di indubbio valore, dal momento che risaltano l’importanza dell’ambiente. Difatti, nell’acquisizione della conoscenza acquista particolarmente importanza la relazione che si viene ad instaurare all’interno della triangolazione dei rapporti tra padre-madre-figlio. “Ogni individuo, come Edipo, si trova nelle varie fasi della sua crescita, di fronte al conflitto, se far fronte al dolore conseguente alla conoscenza o annullarlo difendendosi dal processo conoscitivo.(..) La soluzione del complesso edipico arriva attraverso la distinzione tra ciò che viene chiamato realtà e ciò che viene chiamato fantasia, ma i genitori devono esserci e anche una casa ed una continuità. Vedere i genitori insieme rende tollerabile la fantasia della loro morte o della separazione da loro.(..) La spinta è verso lo sviluppo. Sembra che si possa condividere una visione dell’essere umano in continuazione impegnato a “riposizionarsi” e a “rinegoziarsi” con gli altri e interessato a “relazionarsi”, piuttosto che a “reagire”. Le relazioni interne assicurano continuità e stabilità, ogni soggetto si rapporta agli altri anche seguendo una “proposta inconscia di relazione”. Bisogna comprendere quindi qual è volta per volta il rapporto tra l’uso delle relazioni reali e la configurazione delle relazioni interne” (De Simone 2002) (4).  Questa prospettiva include anche la visione del conflitto (sviluppato da Ferenczi su linea freudiana) tra il principio di piacere e quello di realtà, rappresentati rispettivamente da Giocasta (che tenta di evitare la conoscenza della realtà e dell’origine delle cose) ed Edipo (che a tutti i costi aspira alla conoscenza) e presenti in ogni uomo.
Secondo De Robertis l’Edipo va rovesciato, nel senso che una madre (sede in genere delle prime identificazioni) narcisisticamente impostata impedirà l’accesso al terzo (rappresentato dal padre). Secondo tale concezione la madre rappresenta l’impedimento alla conoscenza. Uccidendo il padre, Edipo adempie al mandato della madre, cioè di non accedere al padre. Nel mito, in questo caso, ciò che colpisce è la mancanza della negazione (De Robertis, 2004).
Per spiegare tale impedimento, dobbiamo ricongiungersi nuovamente a quanto ipotizzato da Tronick (19) su ciò che avviene nell’interazione madre-bambino nei primi mesi di vita. Il bambino è naturalmente proiettato ad instaurare una interazione con chi si prenderà cura di lui e grazie a tale interazione gradatamente verrà a costituirsi una immagine di sé e dell’altro. Cioè l’interazione, non solo rappresenta la base sulla quale si fonda, come abbiamo visto, “l’impronta” che costituirà l’identità, ma inciderà anche sul modo di soggettivizzare la realtà esterna tramite la percezione  del sé e dell’altro. Su questo punto mi piace fare un riferimento da quanto scritto da Lorenzini e Sassaroli in merito alla costituzione degli IWM (internal working model), secondo i quali quest’ultimi sarebbero costituiti da tre livelli. Quello più primitivo sarebbe costituito dall’impronta dell’interazione, cioè da come il bambino si è costruito l’esito del rapporto con l’altro tramite la co-costruzione dell’interazione  con la madre; quello intermedio, ovviamente basato su quello precedente, sarebbe costituito dal modello di sé e dell’altro e il terzo livello sarebbe una conseguenza dei primi due, cioè le strategie comportamentali messe in atto (14).
Tutto ciò chiarisce come avviene l’approccio con il disvelamento, con la conoscenza.
Difatti, sull’impronta primitiva dell’interazione con il caregiver, si vengono a costituire le altre che avranno come caratteristica la percezione di se e dell’altro rispetto all’esito del rapporto. Se il bambino, ad esempio, ha costruito un suo modello nel quale la madre è stata percepita non accessibile, la giustificazione sarà che ciò è avvenuto perché lui non “è amabile” e che l’altro è “rifiutante” e quindi anche l’esito di eventuali relazioni affettive, non può che essere “negativo”.
Il bambino, cioè, costituirà la sua identità sui ricordi di interazione con altri significativi che rispecchieranno l’impronta dell’interazione originaria.
Ciò significa che nella sua memoria autobiografica, una volta diventato adulto, in questo caso, gli episodi caratterizzanti della sua identità saranno prevalentemente di rifiuto. Altri episodi, che molto probabilmente lui avrà esperito durante l’infanzia e che avranno caratteristiche diverse, non verranno ricordati, perché non riconosciuti significativi rispetto alla sua formazione identitaria. Cioè saranno scotomizzati, non gli saranno dati alcun significato (16).
Quindi rispetto allo svelamento di alcune parti di sé, viene difficile riconoscere quegli aspetti di noi che riteniamo non appartenenti alla nostra identità, anche se ovviamente sono presenti.
A tal punto mi piace fare un altro riferimento alla metafora di Edipo, mettendo in evidenza tre punti:
1)    La ricerca  della verità (conoscenza) e della propria identità.
Edipo, re di Tebe, preso dal trovare una soluzione al dramma della peste che affligge la città che sta governando, chiede aiuto ad Apollo, che tramite Creonte (il fratello della moglie-madre), consiglia di trovare chi con i suoi atti sta portando alla rovina la città. Inizia così una ricerca che lo porta a cercare la verità, capire come stanno le cose e poi anche a domandarsi chi è realmente lui, da dove viene. Cioè la ricerca della propria identità.
E qui, a mio avviso, inizia il parallelismo con il dramma del paziente a cercare, quando sta male la sua verità. Perché sto male? Qual è la causa ?
L’inizio del rapporto analitico lo porterà a domandarsi realmente chi è lui e ad interrogarsi sulle principali figure affettive che lo circondano.
2)    Il rapporto con l’altro (analista)
Nella tragedia, Edipo si rivolge all’indovino cieco Tiresia, domandandogli di dirgli come stanno le cose. Ma quando quest’ultimo gli comunica che è lui la causa, Edipo nega accusandolo di complottargli contro.
Mi sembra evidente l’altro parallelismo Tiresia-analista.
I pazienti vengono da noi chiedendoci di dirgli come stanno le cose, perché stanno male e qual è la soluzione. Ma da analisti sappiamo bene che se provassimo a mettere il paziente subito di fronte ai suoi aspetti inconsci negati, troveremmo una risposta di chiusura, come se non avessimo capito nulla e non compreso il suo problema. A tal punto viene in mente anche la metafora hegeliana della servitù e della padronanza, dove sia il servo che il padrone lottano per quello che credono di essere, negando degli aspetti che non riescono a riconoscersi.
3)    Il rapporto con la madre (con i legami affettivi storicizzati)
Quando Giocasta (la madre-moglie) intuisce che il proprio consorte è anche il figlio che pensava di avere abbandonato, nega a Edipo la verità e preferisce la morte, invece di ammettere quello che lei sa, cioè che quest’ultimo è in realtà suo figlio.
Questo punto ci riporta in mente i legami affettivi storicizzati inconsci che strutturano la nostra personalità. Tali legami storicizzati, che partono dalle nostre modalità inconsce di legame che ci siamo via via strutturati con le principali figure affettive, specialmente la madre (o il caregiver), sono la base delle nostre capacità affettive di legame con altre future figure rappresentative. Cioè condizionano il nostro modo di relazionarsi con  l’altro e caratterizzano la nostra espressività affettiva.
Quindi se sono eccessivamente rigide, portano ad una negazione di possibili alternative che potrebbero essere per noi più funzionali e ciò per preservare le caratteristiche dell’Io-soggetto che noi riteniamo caratterizzanti e funzionali al suo sostenimento, anche se ciò può rivelarsi disfunzionale.
Questo punto si ricollega con il primo, cioè la necessità di rimettere in discussione alcuni aspetti disfunzionali della propria identità psichica.
Per concludere, tali concezioni rivalutano il mito edipico, che può essere sfruttato clinicamente, nel senso che può aiutare l’analista a valutare  come si pone il paziente di fronte alla possibilità di nuove conoscenze (e cosa le impedisce) e qual è la capacità (ed il modo) di sapere instaurare nuove relazioni affettive significative. In più, su tali basi devono essere ricontestualizzati i ruoli del padre e della madre all’interno della famiglia odierna. Difatti, se da un lato è importante la rivisitazione di quest’ultima come funzione di reverie della mente, che “mentre soddisfa i bisogni del bambino, propone e insegna un metodo e trasmette un modello di funzionamento mentale”, dall’altro anche la funzione paterna acquista un nuovo significato, uscendo dagli schemi rigidi di “traghettatore” della mente del bambino verso la realtà sociale esterna. Secondo una visione classica, difatti, il padre rappresenta “le regole sociali”, mentre la madre è l’organizzatrice del mondo interno del bambino. Ritengo anche insufficiente la teorizzazione di stampo bioniano, secondo la quale padre e bambino si relazionerebbero per mezzo della mente della madre. Per tale motivo, concordo con la De Simone sull’utilità di una non rigida contrapposizione tra paterno e materno, cosa che può essere praticamente utile soprattutto in quei casi in cui i bambini si trovano a dover crescere senza la presenza di un genitore. E’ importante in queste situazioni la doppia assunzione di ruoli, cioè anche di quello accudente del genitore mancante. Questo concetto viene esteso da Simona Argentieri, che “indica la possibilità e la necessità di svolgere, ognuno di noi, tante funzioni dinamicamente variabili e intercambiabili, non più codificate dal sesso o dalle generazioni, come avveniva un tempo. Tutto questo dà la possibilità a uomini e donne di acquisire una identità più ricca e completa, libera dalle mutilazioni e dalle scissioni del passato” (De Simone, 2002).

BIBLIOGRAFIA

1) Ammanniti M. (2001).Manuale di psicopatologia dell’infanzia.
Milano: Raffaele Cortina
2) Bion W.(1963). Gli elementi della psicoanalisi.  Roma: Armando, 1973
3) De Robertis D.(2004) Comunicazione personale
4) De Simone G. (2002) Le famiglie di Edipo.  Roma: Borla
5) Fonagy P., Target M. (2001). Attaccamento e funzione riflessiva.
Milano: Raffaele Cortina
6) Freud S. (1908). Analisi della fobia di un bambino di cinque anni (Caso clinico del piccolo Hans). In Opere vol.5. Torino: BollatiBoringhieri, 2003
7) Freud S.(1922). L’Io e l’Es. In Opere vol.4. Torino: Bollati Boringhieri, 2003
8) Freud S.(1926). Inibizione, sintomo e angoscia. In Opere vol.10. Torino: Bollati Boringhieri, 2003
9) Hartmann H.(1939). Psicologia dell’Io e problema dell’adattamento.
Torino: Boringhieri, 1966
10) Hegel G.W.F. (1807). Fenomenologia dello spirito. Firenze: La Nuova Italia 1996
11) Howes C. (1999) La relazione di attaccamento nel contesto di caregiver multipli  in Manuale dell’attaccamento a cura di Cassidy J., Shaker P.R. Roma: Fioriti 2002
12) Kaes R. (2002) La polifonia del sogno.  Roma: Borla
13) Lapassade G.(1963). Il mito dell’adulto. Rimini: Guaraldi, 1971
14) Lorenzini R., Sassaroli S. (1995) Attaccamento, conoscenza e disturbi di personalità. Milano: Raffaele Cortina
15) Minolli M., Coin R.(2007) Amarsi amando.  Roma: Borla
16) Rapisarda F. (2011). Il sogno: una nuova prospettiva psicoanalitica contemporanea tra neuroscienze ed infant research. Script Centro Psicologia umanistica, N.19 Luglio 2011. Rivista on line
17) Sofocle, Edipo Re (Teatro greco di Siracusa- XLIX ciclo di rappresentazioni classiche)
18) Solms M., Turnbull O.(2004) Il cervello ed il mondo interno.
Milano: Raffaele Cortina
19) Tronick E. (2008) Regolazione emotiva. Milano: Raffaele Cortina
20) Winnicott D.W. I bambini e le loro madri. Milano: Raffaele Cortina 1987

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