Il testo che segue è stato letto, nel gennaio del 2004, all’Università Ben Gurion di Tel Aviv, ed è pubblicato sul sito di “Yesh Gvul” (“C’è un limite”, sito dei pacifisti israeliani).
A cura di Luisa Morgantini e nella traduzione di Gabriella Pozzobon, è stato riprodotto su “il manifesto” quotidiano, in data 8 febbraio 2004.

Sono uno dei promotori e firmatari della lettera dei piloti israeliani. Qualche settimana fa ero ancora un pilota attivo e capo di una squadra d’elicotteri dell’aeronautica israeliana. La vigilia dell’ultimo Yom Kippour, il Comandante mi ha convocato per annunciarmi che ero stato dimesso dalle mie funzioni per avere dichiarato che non avrei più obbedito ad ordini illegali ed immorali. Negli ultimi mesi, il Comandante dell’aeronautica ha fatto il giro delle basi e delle squadre di volo per annunciare che una grande e potente organizzazione sostiene il nostro gruppo e che l’esercito ha tutte le intenzioni di scoprirla e denunciarla al mondo intero. Voglio rivelare l’identità di quest’organizzazione potente: è un’organizzazione praticamente in ginocchio nella quale siamo cresciuti e nella quale siamo stati educati, cioè le Forze Israeliane della Difesa (Fid) che si ispirano a due valori fondamentali, la dignità umana (“Ogni essere umano dev’essere rispettato indipendentemente dalla sua razza, dalla sua religione, dalla sua nazionalità, dal suo genere, dal suo statuto o rango sociale”) e la purezza delle armi (“Il soldato non utilizzerà le proprie armi né il proprio potere se non per raggiungere l’obiettivo, secondo l’importanza di tal fine e deve conservare la propria umanità anche durante la battaglia. Il soldato non utilizzerà le proprie armi né il proprio potere per far del male a persone che non sono soldati, combattenti o prigionieri e farà tutto ciò che è in suo potere per impedire un’aggressione alle loro vite, ai loro corpi e alle loro proprietà”).

La notte fra il 22 e il 23 luglio 2002. Era tardi, la squadra F-16 era alla base. La squadra mobilitata è composta da un pilota e un navigatore. Rotta su Gaza. Attesa dell’ordine di attacco. L’ordine arriva. Le bombe vengono lanciate. Atterraggio. Rapporto e ritorno. La routine. In quella specifica missione è stata lanciata una bomba di una tonnellata (ciò equivale a cento bombe suicide) su una casa nel quartiere Al-Daraj di Gaza, uno dei quartieri più popolati. In quest’azione quattordici persone sono state uccise e centocinquanta ferite. Quattro famiglie, nove bambini, due donne e due uomini sono stati ammazzati dalla squadra dell’aviazione che ha seguito la missione e centrato il segno in pieno, credendo di difendere gli Israeliani. Ecco, invece, cosa ha detto Dan Halutz (il Comandante delle Forze Aeree) parlando della suddetta missione: “Dichiaro che tutto quanto è stato fatto in questa missione, secondo la mia morale è giustificato”. Rivolgendosi ai piloti ha ribadito “dormite bene questa notte, avete eseguito la missione alla perfezione”.
Quella notte, però, non abbiamo dormito bene, come non abbiamo dormito bene il 31 agosto 2002, quando Daragmeh è stata annientata e quattro bambini sono stati uccisi. Oppure l’8 aprile 2003, quando Al-Arabib e Al-Halabi sono state sterminate e con coloro due bambini e cinque adulti. O il 10 giugno 2003, durante un tentativo di annientare Rantissi, una bambina, una donna e cinque uomini sono stati ammazzati. Non abbiamo dormito bene nemmeno l’ 11 giugno 2003, quando Abou Nahel è stata rasa al suolo e altre due donne e cinque uomini hanno perso la vita, e nemmeno il 12 giugno 2003, dopo l’attacco a Yasser Taha, dove un bambino di un anno, una donna e cinque uomini sono morti. Tre mesi prima, dopo un blitz di cinque attacchi, due persone ricercate sono state uccise, ma con loro sono tate annientate altre dodici persone innocenti. Il Ministro Effi Eitam e gli ufficiali altolocati dell’aviazione non amano l’espressione Palestinesi innocenti, preferiscono chiamarli dei passanti. In quell’azione sono state uccise dodici persone e circa la metà erano passanti.
Quale genere di sicurezza abbiamo avuto in cambio? Attacchi su attacchi, noi con i nostri Apache e loro con i loro attacchi suicidi. Una danza folle. Nemmeno quella notte abbiamo dormito e abbiamo deciso di scrivere questa lettera.

“Noi, piloti di riserva dell’aviazione che siamo stati educati nei valori del sionismo, del sacrificio e del contributo allo Stato d’Israele, abbiamo sempre servito in prima linea, pronti a compiere qualsiasi missione difficile o facile, al fine di proteggere lo Stato d’Israele e di rafforzarlo.
Noi piloti, veterani e attivi, che abbiamo servito e serviamo lo Stato d’Israele per lunghe settimane ogni anno, rifiutiamo d’obbedire agli ordini per attacchi immorali ed illegali che lo Stato d’Israele sferra nei Territori occupati.
Noi che siamo educati ad amare lo Stato israeliano e a contribuire all’impresa sionista, noi rifiutiamo di prendere parte ad attacchi dell’aviazione su concentrazioni popolate da civili.
Noi, per i quali le Fid (Forze israeliane di difesa) e l’aviazione sono parti integranti di noi stessi, rifiutiamo di continuare a fare del male a civili innocenti.
Questi attacchi sono illegali e immorali e sono il risultato diretto dell’occupazione attuale che corrompe tutta la società israeliana. La continuazione dell’occupazione sferra un colpo mortale alla sicurezza d’Israele e alla sua forza morale. Noi che serviamo in qualità di piloti attivi (combattenti, istruttori per la prossima generazione di piloti) dichiariamo che continueremo a servire nella Fid e nell’aviazione per qualsiasi missione che servirà a difendere lo Stato d’Israele”.

Abbiamo parlato a più di un centinaio di piloti, tra i quali comandanti veterani dell’aviazione, molti hanno avuto paura di firmare, ma hanno sostenuto la nostra idea e, come previsto, non c’è stata nessuna fuga di notizie sulla lettera. È importante dire chi ha firmato la lettera, è il momento di conoscere “i traditori che hanno aiutato i terroristi”. Inizio con i piloti attivi: il Maggiore Yotam, il Capitano Torner (pilota attivo di Apache), il Capitano Ran (pilota attivo di F-16), il Capitano Zur (navigatore combattente attivo), il Capitano Amnon (pilota attivo di Blackhawk), il Capitano Yonathan (pilota attivo di Blackhawk), il Capitano Asaf (pilota attivo di Blackhawk), il Tenente Colonnello Eli (pilota attivo di F-15 e istruttore di combattimento alla scuola di volo), il Brigadiere Generale Yiphtah Spector (pilota di combattimento e istruttore attivo alla scuola di volo. Altri venti veterani hanno sottoscritto l’iniziativa, combattenti che hanno prestato servizio durante le guerre d’Israele, alcune più giustificate di altre. Tra questi piloti, il Colonnello e Dottore Yigal Shoat (pilota di combattimento, già fatto prigioniero in Siria, destinato in seguito all’aviazione in qualità di medico capo), il Tenente Colonnello Yonatha Shahar (pilota di combattimento e comandante di volo durante la guerra dei Sei Giorni), il Tenente Colonnello Abner Raanan (pilota di combattimento che ha ricevuto il Premio Israel per la sicurezza e per aver sviluppato dei sistemi di armi intelligenti), il Professor Motti Peri (pilota d’elicottero, oggi Direttore della Facoltà di Economia dell’Università Ebraica), il Professor Nahum Karlinski (pilota di combattimento e storico all’Università Ben Gurion), il Tenente Yoel Pieterberg (pilota di prova superiore nell’aviazione, uno dei fondatori della prima squadra Apache, leader della squadra Cobra durante la guerra del Libano, ha ricevuto una medaglia dal Capo di Stato Maggiore, è uno dei pianificatori ed esecutori della missione Karin), il Capitano Moshe Bukeyi (pilota di trasporto, citato per il suo coraggio durante la guerra del Sinai), il Maggiore Hagai Tamir (pilota di combattimento e architetto, istruttore durante i corsi di formazione dei piloti di Dan Halutz).
Due settimane dopo la pubblicazione della lettera dei piloti è apparso un rapporto nel supplemento del giornale Yedioth Aharonoth, Seven Days: cinque comandanti di brigata e colonnelli dell’esercito, fotografati in uniforme e armati, hanno espresso il loro sostegno a Sharon, ai coloni e alla politica di annientamento. In quell’occasione il Ministro della difesa non li ha chiamati sostenitori del terrorismo e non ha stigmatizzato il fatto che essi si esprimessero in uniforme. Perché? Perché rappresentano il consenso. Perché sostengono il Governo. Un governo che ogni giorno diventa sempre meno democratico e sempre più dittatoriale.

Se si chiede ad un cittadino che vive in uno Stato che è diventato una dittatura, in quale momento è successo, non potrà rispondere, poiché è un processo che cresce senza che i cittadini se ne rendano veramente conto. Certi elementi, però, non si possono nascondere, ad esempio, qualche mese fa il Capo di Stato Maggiore ha dichiarato che ogni membro di Hamas è da annientare. Vorrei riportarvi la risposta del Portavoce del Procuratore dell’esercito in merito alle denunce contro le Fid, dieci anni fa. Nel 1993, dichiarò che il ruolo dell’ “Unità Mista Aravim” (infiltrati) non era quello di sterminare “…le Fid escludono totalmente questa rivendicazione… non hanno mai praticato né praticheranno mai una politica d’annientamento intenzionale verso dei ricercati”. Il principio di riconoscere che la vita è sacra è un vanto fondamentale delle Fid. È sempre stato così e non ci saranno cambiamenti. Se ci basiamo su questa dichiarazione non abbiamo forse già oltrepassato la linea rossa? Oppure si può ancora continuare un po’? Molte persone sostengono che non abbiamo ancora oltrepassato la linea e che per ora non possiamo rifiutarci…dobbiamo continuare ad obbedire. Questa situazione mi ricorda la linea rossa dell’acqua di mare della Galilea: ogni volta che l’acqua oltrepassa la linea rossa del lago dobbiamo intervenire per abbassarne il livello.

Questo mio paese si trova in una situazione simile ad un aereo che scende in picchiata, ho tre opzioni: posso lanciarmi e lasciare Israele, posso anche continuare e lasciare l’aereo precipitare provocando la morte di più persone, oppure posso tirare la manopola, con tutte le mie forze, per ristabilire la rotta dell’aereo. Noi abbiamo scelto la terza opzione e la gente ci chiede come abbiamo potuto farlo…bisogna combattere il terrorismo che dilaga nelle strade. A costoro rispondo che hanno ragione e che conosco il terrorismo da vicino. Questi ultimi anni ho fatto volontariato in un’organizzazione che aiuta i nuovi immigrati, vittime del terrorismo. Ho aiutato i feriti durante la loro degenza, ho sorretto gruppi di orfani e membri di famiglie in lutto. Ogni persona è un mondo a parte e ogni lutto provoca cerchi di dolori e ferite, proprio come un sasso gettato nell’acqua che forma una serie di cerchi che si allargano sempre più. Il dolore, la collera, la speranza…
Sì, bisogna combattere questo terrorismo criminale. Se devo uccidere un kamikaze che sta compiendo una missione terroristica rischiando la mia vita, sapendo che sto salvando altre vite umane, lo faccio con tutto il cuore; ma nessuno degli annientamenti, cosiddetti selettivi, sono stati diretti contro un terrorista in atto (le Fid appoggiano questa tesi).
Dobbiamo combattere i terroristi, ma dobbiamo anche combattere per non diventare sempre più uguali a loro. Le esplosioni degli autobus non giustificano le decisioni di Sharon, di Mozaf e del Capo dell’Aeronautica, Dan Halutz, di uccidere involontariamente nove bambini nel sonno e di seminare terrore fra un popolo di milioni di persone che vivono sotto il regno degli accerchiamenti, del coprifuoco, dei check-point.

Parlo di un popolo chiuso dentro mura, nei campi profughi, sotto il mirino dei fucili di un enorme e spaventoso esercito armato fino ai denti, con aerei a reazione che attraversano il cielo in continuazione ed elicotteri d’attacco che lanciano uno dopo l’altro missili sulle automobili, contro le finestre di case in città sovrappopolate e prive di tutto. Ho detto che sacrificherei di tutto cuore la mia vita per fermare, anche con il mio corpo, un kamikaze terrorista, ma credo sia il momento di parlare della coscienza. Abbiamo perso la fiducia in un sistema che ci chiede di applicare una politica scandalosa e dubbia. Non crediamo ai dirigenti dello Stato, al Ministro della Difesa e a i nostri comandanti altolocati quando ci ordinano di lanciare missili in luoghi dove, questo lo scopriamo sempre dopo, uccideremo donne e bambini. Quando il Capo dell’Aviazione mente alla stampa, la stampa pubblica falsità; ma quando Dan Halutz mente ai piloti, cittadini innocenti vengono uccisi, oggi si usa chiamarli “persone non implicate” (termine tratto da “Terminator”). Un esercito composto da combattenti che non sono convinti delle ragioni delle loro azioni è un esercito indebolito. Un pilota in missione deve poter avere fiducia nel sistema e deve essere sicuro al cento per cento che l’esercito ha seriamente esaminato gli aspetti morali, strategici e tattici più giusti. Il pilota non ha modo di sapere ciò che si cela dietro il bersaglio che sta mirando e non gli si può certo chiedere di valutare, in tempo reale, se l’ordine che ha ricevuto è appropriato o no. È estremamente difficile, al momento dell’esecuzione. In più, oggi, i piloti hanno l’obbligo di conoscere le statistiche nauseanti delle missioni che compiono.

La metà delle vittime delle missioni di sterminio selettivo sono dei civili innocenti. Quando si elimina, intenzionalmente, dal planning e dalle esecuzioni, la cifra, quasi certa, della metà vittime civili, mi dico che le candide intenzioni dei pianificatori non sono più così candide, ma sono piuttosto macchiate. Voglio citare un articolo recente del portavoce dell’aviazione in cui dei piloti d’ Apache vengono intervistati sul dilemma interiore. Un pilota, di lunga esperienza, ha dichiarato: “È probabile che fra un paio d’anni mi riterrò un idiota per avere oltrepassato la linea rossa”. Un altro ha parlato di un insieme di valori che sono cambiati negli ultimi anni: “Non avrei mai creduto di poter lanciare dei missili su Jenin, Gaza e Tulkarem, però l’ho fatto. Mi potrebbero inviare a lanciare missili su Umm El-Faham (città araba d’Israele)…Oggi sembra inverosimile, ma potrebbe capitare. Forse lanceremo dei missili sugli uffici di Arafat o forse sulle case arabe di Jaffa…Sono tutte cose che penso che non farei mai, però oggi ho lanciato missili a cento metri dalle persone solo per disperderle, eppure due anni fa non mi sfiorava nemmeno il pensiero di poter fare cose simili… Siamo diventati indifferenti”.
” Certe volte – dice un altro pilota – ritornando dal briefing, dopo uno sterminio riuscito, penso che comincia il conto alla rovescia per un altro attacco. Ultimamente, ho visto molto sangue durante il mio servizio, nell’intervallo ho disposto truppe di comando nelle periferie delle città in Cisgiordania, ho dovuto evacuare dozzine di feriti, ivi compresi soldati delle Fid e dei civili, tra cui dei bambini che riportavano delle orribili ferite. A volte, portiamo i feriti all’ospedale, puliamo il sangue sul fondo dell’elicottero e ripartiamo per andare a prenderne altri”.

Mi chiedo se siamo veramente tanto ottusi ed ingenui da credere che possiamo reprimere un milione e mezzo di persone che non hanno più nessuna paura di morire. Mi chiedo se non stiamo diventando matti anche noi… Apparente sì. Mi sembra di far parte di una società in stato di psicosi avanzato, una sorta di personalità divisa e che il solo modo per sopravvivere sia quello di rinchiudersi e di sparire nella nostra propria sfera e, se c’è qualcosa che dovremmo far saltare in aria, è proprio questa sfera. Come fare per far saltare la sfera? Semplice, bisogna conoscere i fatti. Esaminiamo, in breve, che cosa ci è successo negli ultimi tre anni. Nei Territori 2289 Palestinesi sono stati uccisi dalle forze di sicurezza israeliane, tra cui 439 minori di diciotto anni, almeno 128 palestinesi sono stati condannati a morte senza processo, 32 palestinesi sono stati uccisi da civili israeliani, 9 stranieri sono stati uccisi dalle forze di sicurezza israeliane, 196 civili israeliani sono stati uccisi dai palestinesi, 180 persone delle forze di sicurezza israeliane sono state ammazzate dai palestinesi, 86 palestinesi sospettati di collaborazionismo con Israele sono stati uccisi dagli stessi palestinesi, 29 palestinesi sono stati uccisi dalla forze di sicurezza palestinesi. In Israele 377 civili, 80 membri delle forze di sicurezza e 32 civili stranieri sono stati ammazzati dai palestinesi dei Territori, 48 palestinesi sono stati uccisi dalle forze di sicurezza. Le Fid confermano che tra i 2289 palestinesi uccisi dalla nostre forze di sicurezza, solo 550 erano armati o combattenti.

Cos’è capitato agli altri 1739 palestinesi? Prima di concludere vorrei descrivervi alcuni momenti, vissuti negli ultimi due mesi, che fanno venire i brividi. Durante l’intervista relativa al mio rinvio dall’aviazione ero seduto di fronte al Comandante delle forze armate dell’aeronautica, l’ho sentito dire e ripetere che tutte le missioni effettuate da noi, ivi comprese le più difficili, erano e sono altamente morali, tanto che anche il professore Asa Kasher è d’accordo. Poco dopo, di sua iniziativa, Dan Halutz, il Comandante delle forze dell’aviazione, candidato al posto di Vice Capo di Stato Maggiore, ha declamato, davanti a me, come lui considerava il valore del sangue: in ordine discendente, partendo dal sangue ebreo fino al sangue palestinese.
Ho sentito molto soldati di fanteria dire e, per mio dispiacere, l’ho letto anche in una lettera inviata da uno dei piloti che si oppongono alla nostra azione, che il nostro eroismo, nell’aviazione oggi, non è quello di mettere le nostre vite a rischio sotto il fuoco delle antiaeree o combattere un aereo nemico. Il nostro eroismo oggi è quello di sormontare il sentimento catastrofico che nasce in noi e che ci fa sentire degli assassini professionisti al servizio dello Stato di Israele. Il nostro eroismo è di alzarsi ogni mattina con la scelta rinnovata di essere un buon soldato, pronto ad accettare qualsiasi missione. Una scrollata di spalle per sostituire le responsabilità che pesano con il sentimento di aver compiuto un gesto di valore per essere riuscito a portare a termine una difficile impresa: è questo che permette ai piloti di compiere i peggiori crimini contro l’umanità.

Yonathan Shapira

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