Il 14 aprile scorso, all’età di 87 anni, è morta Alice Miller, la psicoterapeuta che più di ogni altro ha lottato, nei passati decenni, per il riconoscimento della realtà del trauma emotivo alla base della sofferenza psichica. La lettura del suo Dramma del bambino dotato ha rappresentato una svolta, trenta anni fa, per me e per tanti colleghi della mia generazione. La lettura di quel libro produceva (e credo che ancora sia in grado di produrre) un’esperienza sconvolgente nel lettore, dovuta all’esemplare chiarezza delle verità in esso contenute. Come si legge nel profilo biografico (offerto senza copyright sul sito web www.alice-miller.com insieme a tanti altri “flyers”, motivo per cui ho potuto tradurlo e possiamo pubblicarlo qui di seguito), ella ha dedicato il lavoro di tutta la sua vita al disvelamento dei nessi che conducono dal maltrattamento infantile, attraverso il blocco delle reazioni emotive della rabbia e della paura, all’adolescente violento e all’adulto maltrattante che, agito da tali emozioni disconosciute ma operanti nel suo intimo, riproduce all’infinito la catena. Alice Miller ha documentato la realtà di questi nessi attraverso un’enorme mole di lavoro che riguarda non soltanto l’analisi di casi clinici, ma molto spesso le biografie dei dittatori e degli artisti famosi. Con implacabile determinazione, ha dimostrato in maniera puntuale e documentata il percorso malefico della violenza che genera violenza, per non dire della tragedia di conseguenze smisurate, come quelle che derivano dai comportamenti dei dittatori. Il fatto è che la violenza sul bambino si imprime indelebilmente nella sua struttura psicologica e cerebrale in formazione e ne questo rende inesorabili le conseguenze, anche al di là delle intenzioni degli originari persecutori.
Alice Miller ha reagito con forza contro la psicoanalisi nella quale si era formata, la psicoanalisi freudiana ortodossa che in quegli anni era dogmaticamente ancorata alla teoria delle pulsioni. Com’è noto, Freud inizialmente riconobbe la realtà del trauma, ma presto sconfessò se stesso, preferendo una spiegazione più accettabile per la società borghese nella quale era storicamente e professionalmente inserito. In base alla teoria delle pulsioni, il bambino si traumatizza perché desidera sessualmente il genitore di sesso opposto e non perché viene abusato sessualmente o umiliato nell’autostima. Gli psicoanalisti di orientamento relazionale condividono pienamente questa critica a Freud e riconoscono pienamente i meriti di Alice Miller che si è inserita, peraltro, in una tradizione progressivamente rivalutata negli anni, cominciata con Ferenczi e ripresa da Fairbairn, il quale affermava che la libido non è in cerca di soddisfacimento pulsionale ma di relazione, e contemporaneamente da Fromm, Sullivan, Karen Horney e, successivamente, Kohut e tutta la psicoanalisi contemporanea di orientamento relazionale.

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