«L’autobiografia non è solo un tornare a vivere: è un tornare a crescere per se stessi e gli altri, è un incoraggiamento a continuare a rubare giorni al futuro che ci resta e a vivere più profondamente – aiutati da quell’io necessario e tessitore reso più vigile e la contempo indulgente – quelle esperienze che, per la fretta e la disattenzione degli anni cruciali, non potevano essere vissute con la stessa intensità.
Per questo l’autobiografia è un viaggio formativo e non un chiudere i conti…»
D. Demetrio 1996
Da qualche decennio l’autobiografia è divenuta oggetto di ricerca soprattutto come metodo formativo in letteratura, in sociologia, nella psicologia, ma anche nella storia e nella pedagogia. Nella nostra epoca, infatti, la grossa crisi di identità che vive il soggetto, conduce alla necessità di rivisitare sé e la propria storia. In tale situazione di malessere, smarrimento, disorientamento, la pratica autobiografica consente di ridisegnare il proprio profilo con un atto voluto, in un processo ricostruttivo e interpretativo che dà nuova linfa. Riaprire il passato con la distanza che il tempo ha frapposto e rivisitarlo secondo le nostre conquiste successive significa offrire la possibilità di cambiarne il senso, favorire un nuovo inizio e rischiarare le mete del futuro.
Secondo il filosofo Natoli l’autobiografia dovrebbe realizzare due paradossi: primo, farci dimenticare le cose che non riusciamo a dimenticare (eventi forti legati a troppo amore o a troppo dolore), superare la nostra “fissità” (“il passato che non passa”) che ci impedisce di fluire con il fluire della vita. L’unico modo per sottrarsi al passato che incombe è distaccarsi da un determinato evento e comprenderlo nelle sue ragioni più profonde, oggettivare e non identificarsi con quell’evento.
Secondo, aiutarci a trattenere nella memoria ciò che in una situazione cosiddetta normale facilmente si dissolve. Il fluire vorticoso della vita porta ad inseguire l’attualità perdendo il nostro passato. Durante la vecchiaia con il contrarsi della vita futura è naturale volgersi all’indietro, ma nelle altre epoche dell’esistenza, se la vita funziona, noi tendiamo a dimenticare, e allora perdiamo noi stessi. Dunque “ricordiamo quel che dovremmo dimenticare e dimentichiamo quel che dovremmo ricordare”.
La cura di sé (prendersi-cura e prendersi-in-cura) è il requisito necessario che genera l’autobiografia; implica l’auscultazione di sé, la capacità di individuare anche contraddizioni, insufficienze, zone oscure lasciate ai margini della coscienza, in un’ottica di rimescolamento delle carte migliorativo, di un orientamento, di un nuovo itinerario da percorrere.
L’”inciampo” è l’occasione per fare nostra la pratica autobiografica. Quando i nodi si fanno stretti e la vita scorre a singhiozzo, non ci riconosciamo, smarriti, nelle scelte di vita intraprese; allora urge riflettere, ripercorrere il nostro cammino alla ricerca di noi.
Sovente la pratica autobiografica è accusata di essere narcisistica. Pur riconoscendo che il nostro tempo è impregnato di narcisismo, la scrittura della propria storia va semmai nella direzione opposta. Non scriviamo per far mostra di noi con un fare autocelebrativo; al contrario, ci sottoponiamo, quasi autolesionisti, ad un’ analisi spietata carica di sofferenza, in un processo che ci porta a maggiore profondità, ad un rapporto più autentico con gli altri, ad “esserci” di più. Il narcisismo porta all’isolamento e alla riproduzione di sé in presenza di altri che nemmeno si vedono, la pratica autobiografica usa la nicchia della solitudine per crescere come persona, interrogarsi e creare ponti con gli altri. Inoltre, durante la scrittura della propria storia, l’autobiografo incontra chi ha attraversato la propria vita, quindi la sua attenzione contiene altri ed è rivolta al tipo di rapporto che con loro ha intrattenuto.
L’ambito autobiografico, oltre alla scrittura di sé comprende anche la raccolta scritta della storia altrui, quando, ad esempio per motivi di età avanzata (ma anche di malattia, di scarsa confidenza con la scrittura), il narratore non può scrivere in prima persona la propria storia di vita. E’ in questa direzione che è orientato il mio lavoro attuale.
Quando il tempo futuro si accorcia e inevitabilmente è all’indietro che sempre più spesso si guarda, si fa forte il rischio di rimanere intrappolati nel passato, soprattutto in presenza di un oggi deludente. Emergono così i propri fantasmi: persone che non ci sono più, cose e vita quotidiana che poco hanno in comune con le cose e la vita del momento attuale. Tale sensazione di perdita diventa opprimente e difficilmente tollerabile per l’anziano solo, magari anche disagiato economicamente. L’ascolto da parte di un esperto di relazione e di scrittura, capace di costruire un rapporto di fiducia, diventa un momento di puntello alla sua identità sfocata, un aiuto per far fronte al suo processo di indebolimento, una sorta di antidoto allo sgretolamento cui l’anziano va incontro. Insieme spolvereranno guasti e talenti, tratti offuscati ancora vivi e caratterizzanti. Il tempo che gli viene regalato, la centralità che acquista, la narrazione partecipata, l’ascolto, infine il dono della propria storia scritta e ben confezionata, costituiscono elementi di rinforzo all’identità sbiadita, un’operazione lenitiva. L’attenzione che l’altro gli presta può innescare un processo di cura di sé da tempo dimenticata.
Un caso: Paola
Paola è un’ ottantenne, che vive sola da molti anni. Ad ogni incontro (5 in tutto) mi aspettava a casa sua pronta ad offrirmi bicchieri d’acqua, frutta, caffè, per rendermi piacevole il tempo con lei condiviso. Ho scelto di raccogliere la sua storia per affetto e rinascenza, per regalarle il mio tempo, momenti di centralità che raramente ha avuto nella sua vita. Alla mia proposta di ascoltare e scrivere la sua storia di vita Paola ha dimostrato per un attimo un po’ di smarrimento, subito dopo ha manifestato gioia, soprattutto perché la cosa avrebbe significato qualche ora piacevole con una persona a lei cara. Molto alto è il rischio di colonizzare una persona come lei, così in difficoltà a mettersi in contatto con ciò che vuole, a proteggersi, a dire “no”. La gioia in Paola è spesso un’ emozione inautentica che nasconde una profonda paura, ma in questo caso ho valutato che davvero gradisse la mia proposta: le sue parole erano congruenti alla modalità di espressione, la sua aspettativa, evidente nell’atteggiamento, quella di passare piacevolmente il tempo in buona compagnia con una persona di fiducia.
Durante gli incontri con Paola più volte mi sono scoraggiata: fissa per età, per carattere e per crude vicende familiari che l’avevano molto segnata, non mi sembrava sufficientemente riflessiva per prendere le distanze (anche solo un po’) da certi nodi, troppo protesa ai fatti e non al loro significato. Ho spinto leggermente, le ho chiesto che cosa avrebbe potuto fare di diverso da ora in poi, se le si fossero presentate situazioni sgradevoli per lei, cui non sapeva sottrarsi per la sua difficoltà a dire “no”. Alla mia domanda si è smarrita, affrettandosi a concludere che ormai alla sua età difficilmente avrebbe potuto trovarsi di nuovo in certe difficoltà. – Non ho quindi messo in atto nulla – ho pensato -, il racconto della sua storia non le è servita a nulla, non l’ha fatta progredire di un centimetro. Mi sbagliavo: durante l’ultimo incontro mi ha confessato la sua gioia, autentica gioia, all’idea di lasciare la sua storia al figlio. Ecco, esisteva, e la sua esistenza veniva sottolineata dalla scrittura. Lei, che come più e più volte ha ripetuto, ha avuto una vita “fatta di niente”, con la biografia prendeva consistenza, acquistava corposità, cominciava a contrastare il suo “non essere”. Non essendo vista da nessuno, non c’era.
“Per vivere bisogna esser guardati almeno una volta, essere stati amati almeno una volta, essere stati portati almeno una volta. Solo dopo, una volta che ti è concesso questo dono, puoi essere solo. La solitudine non sarà mai più maligna”( C. Bobin)
Con la raccolta della sua storia di vita credo di averle dato VOCE. Affiancandola nel processo di rivisitazione di sé, gradualmente Paola ha cominciato ad “esserci” di più, perfino a riconoscersi il merito di essere riuscita a portare suo figlio alla laurea in ingegneria, nonostante fosse nata povera e fosse rimasta presto vedova. Infine ha aggiunto che se dovesse verificarsi di nuovo una situazione in cui non sa dire di “no”, chiederà aiuto a me o a persone di cui si fida. Non penso che la faccenda sarebbe così semplice come dichiara, ma probabilmente troverebbe il modo di sottrarsi all’impegno non voluto prima di avere la lingua per terra.
“In ogni frammento di una storia si trova la forma dell’intera storia… Le storie mettono in moto la vita interiore”(C. Vinicola Pinkola Estes).
Di Daniela Bettini
E-mail: danielab49@yahoo.it
D. Demetrio, “Raccontarsi” Cortina Ed.
D. Demetrio, “Autoanalisi per non pazienti”Cortina Ed.
D. Demetrio, “Ricordare a scuola” Editori Laterza
D. Demetrio, “Album di famiglia” Meltemi
D. Demetrio, “ Di che giardino sei” Meltemi
D. Demetrio, ”Scritture erranti” Ed. Terzo Millennio
D. Demetrio, “Il gioco della vita” Guerini
L. Moreni, “Lo specchio del racconto” Ed Unicopli
F. Cambi “ L’autobiografia come metodo formativo” Laterza
I. Gamelli “ Il prisma autobiografico” Ed Unicopli
W. Ong “ Oralità e scrittura” Il Mulino
M. Castiglioni “ La ricerca in educazione degli adulti” Ed Unicopli
A. Cavarero Tu che mi guardi, tu che mi racconti” Feltrinelli