Analisi di alcuni colloqui di psicoterapia tratti dalla trasmissione televisiva In treatment

In Treatment è una serie televisiva statunitense prodotta dal 2008, creata e prodotta da Rodrigo García. La serie è incentrata sullo psicoterapeuta Paul Weston, interpretato da Gabriel Byrne, e le sue settimanali sedute con i suoi pazienti. Lo show si ispira liberamente alla serie israeliana Be’Tipul, creata dal regista Hagai Levi, che figura tra i produttore esecutivi della serie assieme all’attore Mark Wahlberg.La serie viene trasmessa in prima visionenegli Stati Uniti da HBO dal 28 gennaio 2008, mentre in Italia viene trasmessa da Cult dal 21 settembre2008

Sabato 12/02/2010, presso SCRIPT – Centro Psicologia Umanistica – Lungarno Gambacorti, 47 – Pisa

L’importanza delle prime battute

Nel primo incontro con un’altra persona, si possono cogliere direttamente alcune caratteristiche nucleari della sua psicologia e del suo modo di essere, perché si hanno delle percezioni non filtrate. A tutti è capitato di fare l’esperienza, dopo anni di rapporto con qualcuno, di tornare con la memoria all’inizio del rapporto stesso e al primissimo impatto che l’altro aveva avuto su di noi fin da subito e di riconoscere allora che in quel primissimo momento avevamo già percepito e subito dopo disconosciuto alcune importanti verità dell’altra persona. In seguito, ci sono voluti anni per ritrovarle, sepolte al di sotto di tutte le barriere difensive costruite nel corso del tempo. Questo genere di esperienza ci fa capire quanto sarebbe importante fidarci delle nostre percezioni, invece di diffidarne. Nel bene e nel male, siamo figli di una cultura che ha tolto valore alla percezione soggettiva e immediata della realtà, per sostituirla con quella oggettiva, concreta e condivisa da tutti. Su questa base abbiamo costruito, negli ultimi secoli, la scienza, la tecnica e il benessere materiale di cui tutti godiamo.

Walter, top manager molto navigato, è abilissimo nel giudicare le persone al primo impatto e qui vediamo, nelle prime battute del dialogo che intraprende con Paul, come lo metta sottilmente e ripetutamente alla prova. Fondamentalmente, lo mette in difficoltà e si accerta se Paul è disposto a scoprirsi. Infatti, come ci si può affidare a qualcuno che non sia disposto a mostrare i propri limiti e le proprie debolezze, a qualcuno cioè che non sia disposto a fidarsi a sua volta? Ho provato molta ammirazione per come Walter conduce le sue prime mosse nella relazione con Paul.

Non credo che Walter abbia studiato le proprie battute, prima di pronunciarle: la situazione era nuova e spiazzante per lui e la sua abilità assolutamente spontanea. Riconosciamo qui un artista: un uomo che ha sicuramente attraversato un livello di analisi scientifica delle situazioni, delle relazioni e dei comportamenti degli esseri umani con i quali ha a che fare, ma che poi ha ritrovato le proprie percezioni soggettive e si è impadronito della tecnica per mezzo della propria soggettività. La sua competenza relazionale si colloca a livello implicito e procedurale: non ha bisogno di riflettere consapevolmente sulle mosse dell’interlocutore, perché la sua strategia è diventata del tutto istintiva ed è espressione della sua autenticità.

Walter si presenta al terapeuta con un sintomo e racconta a se stesso e a Paul di non essere venuto di volontà propria, ma di essere stato mandato dalla moglie. Con il terzo orecchio dello psicoanalista cominciamo subito ad ascoltare un’altra storia. C’è una parte femminile dietro al personaggio forte e sicuro di sé con il quale l’io di Walter si identifica totalmente, un’altra parte della sua personalità che cerca aiuto e si esprime per ora soltanto attraverso sintomi. Jung avrebbe chiamato quest’altra parte della personalità di Walter la sua Anima. Come vedremo in seguito, ancor più che dalla moglie, essa è rappresentata dalla figlia Natalie. Questo altro se stesso, questo “doppio” per ora totalmente inconscio, che non s’identifica con il direttore generale vestito di un prezioso cappotto di kashmir, emergerà alla luce del sole in seguito alla crisi che Walter dovrà affrontare.

Nel complesso, l’espressione iniziale del proprio bisogno d’aiuto è eufemistica e grottesca. Nel linguaggio della psicoanalisi, ciò significa che per ora il soggetto portatore di tale bisogno non è l’io di Walter, ma il suo inconscio. L’insonnia pare un guaio piovuto dal cielo, gli attacchi di panico sono totalmente disconosciuti e il motivo per cui Walter è qui non dipende da lui, ma dalla volontà di un’altra persona.

L’eufemismo e il concretismo sono caratteristiche generali del modo in cui l’inconscio si esprime, per esempio nei sogni e nei sintomi, ma anche nei cosiddetti “agiti”, comportamenti impulsivi o compulsivi che sfuggono alla consueta razionalità di cui una persona è capace. Vedremo fra poco il comportamento impulsivo di Walter nei confronti della figlia Natalie: tale comportamento trae origine dalla proiezione che egli fa del proprio bisogno di essere aiutato sulla persona che, come ho già detto, può essere interpretata come rappresentante della propria Anima, intesa in senso junghiano. Quella parte di sé che è sensibile non solo alle ragioni pratiche del mondo esterno, ma soprattutto alle ragioni della vita interiore. Walter viene letteralmente travolto dalla necessità (che sente soltanto lui) di correre a salvare Natalie, compiendo un atto non richiesto di invasione della vita della ragazza. L’io di Walter a quel punto sarà completamente travolto e il panico non gli darà tregua.

Walter racconta a se stesso e a Paul di «essere come un figlio» per i Donaldson, la famiglia proprietaria dell’azienda multinazionale che egli dirige con totale abnegazione di sé. Vedremo in seguito come stanno realmente le cose. Fu James, il vero figlio dei Donaldson, a farlo entrare nell’azienda paterna, dopo la guerra combattuta insieme nel Vietnam. James era un ragazzo scapestrato e morì giovane, a causa della propria spericolatezza. Parlando di lui, Walter fa una strana ma significativa allusione, quando afferma di non essersi preso abbastanza cura di lui… In seguito alla morte di James, Walter ha preso simbolicamente il suo posto in azienda, con un’assunzione di responsabilità a 360 gradi e si è reso insostituibile. Si è immaginato di obbligare negli anni i Donaldson a una forma di riconoscenza tale, per cui lo avrebbero dovuto amare con lo stesso affetto che avevano per il loro vero figlio. Vedremo presto l’importanza determinante di questa narrazione: essa riproduce, in tutto e per tutto, la vicenda che già prima aveva segnato la vita e il carattere di Walter, all’interno della sua famiglia d’origine.

Gli attacchi di panico

L’analisi degli attacchi di panico di Walter si presenta, nella storia del caso, come la via regia che porta al suo inconscio. Si parte da quello più recente, avvenuto nell’intervallo di tempo trascorso dopo l’ultima seduta, nella sede della sua azienda, in ascensore. Quella mattina, Walter si era trovato inaspettatamente di fronte al fatto che era cambiata la guardia giurata alla portineria. Il vecchio Bob, dopo trent’anni di diligente servizio, era improvvisamente sparito, morto d’infarto. Con Bob era venuto meno anche il rituale che condividevano ogni mattina, fatto di saluti e di commenti sulle squadre sportive. Walter vorrebbe togliere importanza alla cosa, non vuole credere che la scomparsa di Bob possa avere generato in lui un’emozione collegata con il panico, ma seguendo il filo rosso degli attacchi di panico si arriva a scoprire che essi durano fino dalla sua infanzia. Cominciarono quando Walter aveva sei anni. A quel tempo dormiva nella camera del fratello. Questi era morto da poco, tuffandosi in un laghetto. Come ho già accennato, qui riprende quella che io chiamerei la “narrazione nucleare di sé”. scopriamo infatti che, prima della morte del vero figlio dei Donaldson, era già avvenuta la morte del “vero figlio” dei suoi genitori.

Il fratello maggiore Tommy era stato un ragazzo eccezionalmente dotato e stimato per i suoi risultati scolastici e la sua morte improvvisa a sedici anni segnò per sempre la vita dei genitori, determinando in particolare un mutamento drammatico nella madre e la caduta di lei in uno stato depressivo dal quale non si sarebbe ripresa mai più. I genitori non parlarono mai dell’accaduto con Walter: lo mandarono a vivere per un periodo dai parenti e, quando egli tornò a casa, il padre lo condusse nella stanza di Tommy e, senza altri commenti, gli disse: «Adesso questa camera è tua! Ora capisco perché ti abbiamo avuto». In altri termini, lo nominò sbrigativamente sostituto di Tommy. Una volta trasferitosi nella camera del fratello morto, cominciarono attacchi di panico notturni (il cosiddetto pavor nocturnus).

Walter non vuole proseguire con questo argomento, diventa addirittura aggressivo e con ciò possiamo intuire che c’è dell’altro sotto, ma questo verrà fuori in seguito.

Si passa al racconto dell’incursione che Walter ha fatto in Africa, nella vita di sua figlia, con l’intenzione di andare a “salvarla” e a riprendersela. Con questa azione non richiesta, Walter si è assentato dall’azienda nel momento peggiore che potesse mai scegliere, proprie quando le cose stavano precipitando e lo scandalo del latte avariato stava dilagando sulle pagine di tutti i giornali.

Paul spiega molto bene a Walter che il suo allarme riguardo ai cambiamenti della figlia aveva a che fare con la paura che egli prova di fronte all’acquisizione d’indipen-denza da lui, che la figlia sta sempre più sviluppando. Secondo Paul, qui si vede una paura particolare di perderla, che Walter cova nel proprio inconscio. A partire da questa spiegazione, Paul sviluppa la sua diversa narrazione portante della psicologia e del disturbo affettivo di Walter. Walter avrebbe la paura che le persone che spariscono dal suo controllo spariscano per davvero e per sempre, cioè muoiano, come prima di tutti era successo al fratello. Per questo, egli vivrebbe l’indipendenza e l’allontanamento della figlia come la morte della figlia. Walter non accetta questa spiegazione e credo che il filmato voglia farci vedere questo suo atteggiamento come una sua “resistenza all’ana-lisi”.

Qui, però, io non sono affatto d’accordo con Paul e credo che per davvero Walter non si senta capito. Credo che la spiegazione offerta da Paul sia “perfetta da manuale”, ma in realtà non sufficientemente corrispondente al vero.

Il vero male di Walter

Walter soffre di un diverso male e non di quello a lui attribuito da Paul. Egli ha costruito il senso di sé sulla sua capacità di rendersi insostituibile, per compensare i genitori della perdita dell’unico figlio da loro amato. Diciamo che ha preso assolutamente sul serio la consegna ricevuta dal padre, dopo la morte di Tommy. Per ogni giorno della sua vita, Walter ha dovuto conquistarsi quella valorizzazione e quell’amore che mancavano in origine, essendo lui il sostituto, il figlio che i suoi genitori avevano fatto per tenerlo di riserva, nel caso, come purtroppo è realmente accaduto, che una disgrazia li avesse privati dell’unico figlio da loro realmente amato. Lo stesso copione si è ripetuto e quindi anche rinforzato nella storia con i Donaldson, il cui figlio (James) Walter ha di nuovo sostituito, dovendo ogni giorno dimostrare di essere all’altezza della fiducia e della considerazione ricevuta, ma mai scontata. Il motivo per cui Walter è sul punto di crollare e poi effettivamente crollerà è il venire meno del suo ruolo di indispensabile sostegno di tutti. Al di là di quel ruolo, Walter non ha il senso e la sicurezza di esistere.

Non a caso, la crisi con Natalie precipita quando Walter capisce che la figlia «non ha più bisogno di lui», testuali parole che egli legge nella e-mail della figlia. Non c’entra nulla l’angoscia abbandonica ipotizzata da Paul: ciò che accade è che il suo sé perde l’unica fonte di valorizzazione di cui dispone e crolla.

Non posso fare a meno di chiedermi che corso avrebbero preso gli eventi se Walter avesse ricevuto la spiegazione giusta e non quella sbagliata. Probabilmente sarebbe passato comunque attraverso una crisi, ma non avrebbe avuto bisogno di drammatizzarla nella terribile concretezza di un tentato suicidio.

Tuttavia, la psicoterapia è fatta così: non si può mai tornare indietro per provare una diversa strada e, in realtà, è inevitabile che l’analista faccia degli sbagli. Ciò dipende dal suo coinvolgimento emotivo. È una legge psicologica ineludibile: se l’analista non è coinvolto, l’analisi non è efficace, è teorica e non vissuta, non mette in moto quello che chiamiamo il “processo analitico”. Se però è coinvolto, non può esserlo altro che attraverso i propri significati, cioè le proprie narrazioni, le proprie emozioni, la propria psicologia e non è più “obiettivo”. Ma se l’analisi funziona, nonostante gli sbagli dell’ana-lista, come mai ciò accade? Questo succede, perché l’analisi non è un procedimento meccanico, causato da una forza che agisce dall’esterno, per costrizione. Potremmo dire che è un processo dialettico, capace di auto-regolazione, auto-organizzazione e auto-correzione attraverso gli sbagli. Tutti abbiamo sperimentato il valore e l’efficacia insostituibile dello scambio con altri. Nello scambio, non è necessario che assumiamo in toto le spiegazioni altrui, ma anzi è possibile che abbia luogo un dibattito, attraverso il quale arriviamo alle nostre spiegazioni, alle spiegazioni di cui abbiamo veramente bisogno, a prescindere dalla parziale o totale condivisione delle stesse con il nostro interlocutore, o dalla condivisione del vero significato che viene dato alle parole apparentemente condivise.

Paul suggerisce che Walter ha ceduto sotto il peso schiacciante del senso di colpa, ma la verità è un’altra: è stato schiacciato dalla vergogna, l’emozione che ci fa desiderare di scomparire dal mondo, nel momento in cui gli altri non hanno avuto più bisogno di lui. Walter sa di non essere colpevole, non lo mette mai in dubbio, ma non sa come fare a vivere, venendo meno il ruolo di figlio sostituto indispensabile, capace di pagare e ripagare a sufficienza e in ogni momento la fiducia che i genitori e tutti gli altri significativi della sua vita dopo di loro gli hanno accordato.

Conclusioni

Accelerando la crisi dell’azienda e approdando alle proprie dimissioni e poi tentando il suicidio, Walter si butta in una crisi drammatica ma inevitabile e anche indispensabile perché possa avvenire un cambiamento. Paul è perfettamente capace di riconoscere il significato potenzialmente evolutivo della crisi, di accoglierlo e di valorizzarlo. È in questo modo intenso e sconvolgente che si arriva alla fine del caso di Walter, cioè all’inizio della sua terapia. Coinvolgendosi e sbagliando, Paul conquista definitivamente la fiducia di Walter, il quale ha simbolicamente ucciso il falso sé dal quale è stato tiranneggiato per tutta la vita. Eppure Walter alla fine è vivo e intravede la possibilità di ritrovare uno scopo per cui valga nuovamente la pena di combattere.

Alberto Lorenzini

alberto.lorenzini@gmail.com

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