RACCONTARE / RACCONTARSI
In assenza di scrittori e di poeti
a cura di Giovanni Lancellotti
Alcuni anni fa, nel ricordo più lontani che nella reale misura del tempo, sono stato coordinatore di un corso di aggiornamento per insegnanti di un istituto comprensivo della provincia di Pisa. Era un periodo in cui si incominciava (tutto sarebbe finito poco dopo) a prendere in considerazione che la formazione, l’educazione, l’istruzione avevano dimenticato la dimensione emozionale del processo di apprendimento e che bisognava averne cura.
La formazione degli insegnanti, conseguita durante il corso, si sarebbe poi applicata all’insegnamento nelle rispettive classi.
La metodologia scelta era stata quella della narrazione, dell’invenzione “letteraria” e dell’espressione poetica.
Il corso aveva un titolo un po’ pretenzioso: “La conoscenza di sé”.
Alla fine del corso, anziché ricorrere alle tradizionali forme di feedback (questionario, considerazioni libere, forme di misurazione dell’apprendimento), proposi ai partecipanti, o meglio alle partecipanti, in quanto erano maestre di scuola dell’infanzia o elementare e professoresse di scuola media, di chiudere con un racconto o una poesia che avesse riferimento al lavoro fatto.
Durante il corso le scrittrici e le poetesse (in qualche caso in entrambi i ruoli) avevano scelto di firmare le composizioni con uno pseudonimo, per creare un’atmosfera letteraria.
Il racconto che segue, e le poesie che vi sono contenute, è opera di Olympia, maestra di scuola elementare.
Dopo l’uragano
Le mani spesso si stancano e gli occhi non vedono gli alunni bambini che trasformino parole, ancora ignare della loro collocazione, in racconti o in poesie. Naturalmente col tacito assenso o con l’ignoranza di questi fatti da parte di scrittori e poeti, donne o uomini che siano o che siano stati.
Come fanno le penne a costruire le rime, a colorare con le essenze del nulla di accaduto nel momento della composizione, quando l’inchiostro delle emozioni manchi di quei tratti indelebili che soltanto lo scorrere dell’età può dare? Non potevamo pensare di crescere un Arthur Rimbaud in questa oscura penisola di provincia, abitata da gente laboriosa che non aveva avuto il tempo di vivere una scuola feconda di altro oltre che leggere, scrivere o far di conto o di una tradizione popolare che le merci del divertimento televisivo avevano distrutto, relegandole nella notte della dimenticanza.
Ma, compagno di questo pessimismo, era anche presente in me, e credo anche in noi, un senso confuso e indistinto che la vita nella crescita fosse affiancata da una maggiore consapevolezza dei possibili significati dell’esistenza, della presenza degli altri, di una legittima pretesa che l’emozione è un fondamento da non escludere per capire come siamo fatti, come possiamo essere visti dagli altri, per vedere che cosa c’è dietro la “linea d’ombra” della vita.
Ma come dar vita ad un mondo che si può perdere in un indistinto deserto dell’incomprensione od essere relegato in una zona di silenzio, perché mancano le “parole per dirlo”?
Abbiamo pensato che l’arte, o l’avvicinamento ad essa, potesse far emergere quanto invece è custodito in quell’area afasica inconsapevole, come il pennacchio di fumo del vulcano che non conosce il mare di energia che lo genera.
Scrittura senza scrittori(scrittrici), però, poesia senza poeti (poetesse), inquietudine senza una forma definita con regole codificate in un movimento, in una tradizione, periodi di libera invenzione, poesie legate ad una spontanea ingenuità che lascia la materia ancora informe, ma che è processo espressivo, che così si mette allo specchio, forse per pettinarsi meglio, per riconoscersi in una madre o in padre, per vedere gli stessi occhi di una figlia, la disperazione di un abbandono, il desiderio di una bambina o di un bambino di crescere oppure l’indecisione ad entrare in un mondo che allontana la mancanza di misura dell’infanzia.
Un’esplorazione che Gianni Rodari ha costruito senza pari con le sue opere
Ogni partecipante al nostro percorso ha scelto un suo modo di procedere, io ho pensato di raccontare e di scrivere poesie, scegliendo un tema per ogni composizione e integrando di seguito le riflessioni, gli echi, le suggestioni che i versi improvvisati potevano evocare.
Ecco le mie poesie con quanto ne segue.
Ai miti morti giovani, a chi non è andato oltre la prima visione della vita.
A JAMES DEAN
Piove sulle tue mani in tasca,
sul tuo cappotto nero,
sulla sigaretta spenta,
sulla città redenta,
da una pioggia velata,
nel cuore dell’impero.
La poesia è nata dalla visione di una fotografia di James Dean, che cammina sotto la pioggia lungo la strada di una città americana. E’ il protagonista maschile di “Gioventù bruciata”, di quel periodo di vita in cui aspirare ad un mistero che verrà dopo, fatto di amore, di padronanza di sé, di differenziazione dal passato genitoriale, di fuga dal controllo di altri, ne costituisce la caratteristica fondamentale, così come salvarsi da uno spreco dell’esistenza o sfidarla e venirne sconfitti per sempre. La pioggia avvolge tutto, redime l’atmosfera asfittica della città, fa dimenticare l’impero, anche l’impero delle immagini, che ha costruito questo mondo di illusioni cinematografiche. Una parte della mia prima giovinezza presente nella presenza assente di una fotografia e in una immanenza emotiva ineludibile.
Alla ricerca di un’identità che fugge appena raggiunta, ad una fotografia che fissa in immobilità ciò che è vita. Alla contemplazione degli adulti che ruba gli attimi fuggenti dell’infanzia.
CHI SIAMO
Due delfini smarriti nell’acqua
Mutati in volpi smagrite
Che scavano buche di sabbia
Siamo noi nell’alba di piombo
Che congiura dal profondo del cielo
Abissi di luce spenta
Sul viso di folla contenta.
Sulla spiaggia vedo un bambino e una bambina che giocano con la sabbia. La mia mente va nel mondo del contrario, del rovescio, di ciò che può esserci di ombra in una giornata di pieno sole. Possono due bambini diventare “anime morte”? Può il mio desiderio di vita scontrarsi con l’altra faccia della luna, con la dea nera che ci accompagna, nell’indifferenza della “folla”?
È una poesia ispirata dal racconto di un’esperienza dolorosa di un’amica
A NINÌ
Non conoscere
Quello che ci resta.
Il volto abortito del sole
Ci ha accompagnato
Nei fiumi quotidiani.
Una ciocca di capelli
È la nostra luce.
Ninì è una bambina di due anni morta per un tumore incurabile. Un processo di conoscenza mai nato, un progetto di vita che non ha superato nemmeno i primi ostacoli. Come un ricordo sacro è rimasta una ciocca di capelli della bambina ed un nome da tramandare nel dolore familiare.
È il desiderio di rivedere una persona cara scomparsa fisicamente per sempre.
DESIDERIO
Anime sottili
Che vivete
Nei cassetti
violazzurri della vita,
gentili aprite,
se potete,
i misteri dell’uscita.
Se vedete
Quei suoi passi
Più leggeri
Della nebbia mattutina,
Fate un cenno
Date un segno
Che rinasca
La mia gioia di bambina.
Se l’anima mia la rivedesse ancora
Sorriderebbe di dolore come allora.
È dedicata a mia madre. Non riesco ad aggiungere altro.
Il Corso è arrivato alla sua conclusione. Chaplin, in una battuta del film “Luci della città” diceva “Nulla finisce, cambia soltanto”. Voglio farla mia. Dovrò tradurre in una lingua infantile quello che ho maturato in questa esperienza e non sarà facile, ma cercherò di farlo. Le parole, le parole in poesia, sono andate in zone ancora sconosciute ed hanno aggiunto una maggiore consapevolezza, una conoscenza di me, mi ha mantenuto viva, perché le parole possono diventare cose nella mia mente. Cose immateriali che vanno ad esprimere quello che, sentito, è capito soltanto se rappresentato. Raccontare e fare poesie è un tentativo di rappresentare.
Olympia
Marzo 2001
Olympia è uno pseudonimo. La persona dietro il nom de plume vuole rimanere nascosta. Non rifiuta però di comunicare che è una maestra di scuola elementare in pensione e che si diletta a tutt’oggi a scrivere poesie. Fa parte di un gruppo di donne che si raccolgono periodicamente per leggere le poesie che hanno scritto. Le firme delle loro poesie sono tutte coperte da pseudonimi ed è desiderio delle appartenenti al gruppo che non vengano pubblicate, ma rimangano patrimonio del gruppo stesso, in omaggio alla battuta di Troisi, nel film “Il Postino”: “La poesia non è di chi la scrive, ma di chi gli serve”.