“…E’come se si stesse cercando di neutralizzare con le parole le asperità reali, e di smussare gli spigoli e le scabrosità. Diciamolo con un’immagine, là in fondo, sulla linea dell’orizzonte, sfilano muti, nel bianco e nero dei film del passato, reperti umani dall’aspetto indefinibile: sono i precari licenziati, o semplicemente non riassunti al termine del contratto, per ora le uniche vere vittime della recessione. Di qua, sulla torre di vedetta del governo, la crisi economica viene ancora considerata come un caso percettivo e mediatico. Una dissonanza cognitiva. Sono le cattive profezie “autorealizzantisi”, le inquietudini “ingiustificate” del ceto medio e dell’impiego pubblico, il pessimismo che alimenta se stesso.
Dovesse aggravarsi la crisi, è probabile che il capo del governo troverebbe adeguate espressioni di collera, contro il sabotaggio psicologico, e quindi concreto, perché ciò che è mentale è reale, di cui gli italiani sono il bersaglio…”.
Da EDMONDO BERSELLI “Un esercito perso nella nebbia” in rivista “Il Mulino”, n.1/2009.
“…La probabilità di apprendere dal giornale una vicenda straordinaria è molto maggiore di quella di viverla personalmente; in altre parole, oggi l’essenziale accade nell’astratto, e l’irrilevante accade nella realtà”
Da ROBERT MUSIL. L’uomo senza qualità. Einaudi.
“Matto è chi è diverso.
Chi è straniero a sé o agli altri.
Chi sta oltre il confine e chi, entro il confine, sconfessa, contraddice, scombina.
Chi osa, chi rompe, chi non si adegua. Chi sfida il mondo e lo riscrive nella bellezza e nell’invenzione.
Matto è chi sta dentro la normalità, e gli pare abbastanza.
Chi sente al limite, e chi sta in anestesia, e smette di sentire.
Chi sta solo troppo a lungo o chi non può mai starci.
Matto è ciascuno di noi quando è bambino, vecchio, sognatore o delirante. Quando è innamorato. Quando il dolore gli toglie la voce e gli rende incomprensibile quella degli altri.
Matto è il poeta che forza le parole e apre al mondo un nuovo senso.
Matto è chi ha lo sguardo presbite e il verbo profetico, chi uscendo dalle righe forza il reale e rende possibile l’impossibile.
Matto è ciascuno.
Qua e là, per poco o per tanto, gioco o serietà, ventura o sventura.
Matto è ognuno di noi, ma poi se ne dimentica.
Raramente ne parla e quasi mai per dire di sé.
Comunque con parole in cui nessuno riesce a riconoscersi,nessuno vorrebbe davvero starci. Vogliamo fare un festival, andare sulle strade e nelle piaze, per raccontare questa condizione che tutti ci riguarda.
Per ricordarci di noi.
Per interrogarci in uno spazio comune.
Per costruire confronti, attraversare contraddizioni, cercare nuovi baricentri alla coscienza dui noi stessi.
Il Festival dei Matti “numero zero” due giornate di incontri e invenzioni per restituire voce a noi tutti, quando siamo matti.
Ospiti sono scrittori, filosofi, artisti, cittadini per parlare di questo, rappresentarlo, restituirgli valore.
Festival dei matti. Venezia, 9-10 ottobre 2009.
Da www.festivaldeimatti.com
“Il nostro governo favorisce i molti invece dei pochi: e per questo viene chiamato democrazia. Le leggi qui assicurano una giustizia eguale per tutti nelle loro dispute private, ma noi non ignoriamo mai i meriti dell’eccellenza. Quando un cittadino si distingue, allora esso sarà, a preferenza di altri, chiamato a servire lo stato, non come atto di privilegio, ma come una ricompensa al merito, e la povertà non costituisce un impedimento. La libertà di cui godiamo si estende anche alla vita quotidiana. Noi non siamo sospettosi l’uno dell’altro e non infastidiamo mai il nostro prossimo se al nostro prossimo piace vivere a modo suo. Un cittadino ateniese non trascura i pubblici affari quando attende alle proprie faccende private. Ci hanno insegnato a rispettare i magistrati, e ci hanno anche insegnato a rispettare le leggi e a non dimenticare mai che dobbiamo proteggere coloro che ricevono offesa. Noi non consideriamo la discussione come un ostacolo sulla via della democrazia. Io proclamo che Atene è la scuola dell’Ellade e che ogni ateniese cresce sviluppando una felice versatilità, ed è per questo che la nostra città è aperta al mondo e noi non cacciamo mai uno straniero”.
Dal discorso di Pericle agli ateniesi, nell’interpretazione teatrale di Paolo Rossi.
Riportato da Giovanni De Mauro in “Liberazione”, n. 882 20/26 novembre 2009.
Gli sforzi ripetuti dell’analista per alleviare il disagio del paziente devono fallire per permettere all’analista di conoscere l’esperienza del paziente per quello che è […] il bisogno di un paziente di ripetere (la storica coazione a ripetere) include come elemento centrale il bisogno di fare in modo che l’altro (in questo caso l’analista) faccia esperienza della parte che svolge nell’insuccesso terapeutico. Il paziente richiede che l’analista cerchi invano di aiutarlo fino a che sia costretto a riconoscere di averlo deluso, allo stesso modo in cui fu deluso dagli oggetti primari. In altre parole, nella ripetizione della crisi sono fondamentalmente l’enactment e il re–enactment di una comunicazione fallita ad avere il potenziale per diventare una comunicazione riuscita, qualora l’oppressività della ripetizione riesca infine a influenzare la comunicazione dell’analista con i suoi stessi oggetti interni e conduca il suo mondo interno verso l’enactment. Se ciò ha luogo, la crisi lascerà il posto a “qualcosa di nuovo” che costituirà un ponte fra passato e presente. Alle parole sarà concessa l’opportunità di simbolizzare ciò che sta avvenendo tra ed entro ciascuno dei partner in un modo sufficientemente sicuro e immediato per far sì che le dinamiche non simbolizzate del trauma evolutivo precoce del paziente possano non solo essere ripetute, ma anche andare incontro a una riparazione nel processo di ripetizione.
Da Philip M. Bromberg. Destare il sognatore. Raffaello Cortina Editore. Pagg. 99, 101.