L’articolo di fondo, a firma di Manlio Iofrida, non è un’incursione della psicoanalisi nel territorio della filosofia, come spesso inevitabilmente è avvenuto nelle pagine della nostra rivista. Tanto per fare giustizia è l’esatto opposto: un’incursione della filosofia nel territorio della psicoanalisi. Il prof. Iofrida, docente di filosofia della storia all’università di Bologna, ci accompagna infatti in un percorso un po’ difficile per noi psicologi e ci restituisce riflessioni inaspettate della nostra scienza nello specchio della filosofia contemporanea. Mentre noi, nei decenni passati, lottavamo all’interno dell’establishment psicoanalitico contro la visione riduttiva e meccanicistica dell’ortodossia freudiana, la filosofia dello strutturalismo era molto più avanti, se così si può dire, perché utilizzava una propria lettura per niente positivistica dell’inconscio freudiano, in funzione delle sue tesi relative alla morte del soggetto. Non esiste, secondo questa filosofia, una pienezza originaria dell’essere. Nulla si può afferrare riguardo all’essere, perché l’essere consiste in un gioco di rimandi senza fine, la cosiddetta differenza di Derrida. L’essere non può ridursi a nessuna identità e la vita non può mai essere piena.
Il progressivo affermarsi della prospettiva relazionale in psicoanalisi e il conseguente passaggio di interesse dalla ricostruzione di una verità precostituita e nascosta alla co-costruzione del senso, si accompagna molto meglio alla riscoperta attualmente in corso della filosofia di Merleau-Ponty. Mentre la filosofia dell’esistenzialismo aveva identificato la coscienza con la coscienza consapevole e lo strutturalismo utilizzava la scoperta dell’inconscio come conferma dell’impossibilità della coscienza di cogliere pienamente se stessa e come causa della inevitabile crisi del soggetto, Merleau-Ponty rivalutò la coscienza preriflessiva. Io credo che sia assolutamente giusto concepire l’inconscio come coscienza preriflessiva e non come gioco impersonale di pulsioni o di rimandi linguistici. Questo consente di concepire il soggetto come colui che “si sperimenta come piega del mondo su se stesso, come finestra sul mondo… luce cosciente che si staglia su uno sfondo mai del tutto chiarificato di oscurità, di inconscio, di oblio”. Si tratta di una nuova concezione del soggetto che “in quanto corpo immerso nella natura, è da questa letteralmente attraversato, e la struttura della nostra coscienza è in questo senso tipicamente empatica, perché il suo funzionamento non è quello estrinseco di un soggetto che recepisce e tratta degli oggetti esterni, ma quello di un soggetto-corpo che bagna nel mondo, immerge i suoi sensi, che sono come dei tentacoli nell’essere”.
Ringraziamo il collega Paolo Migone, direttore di Psicoterapia e scienze umane, per averci concesso la pubblicazione.
L’Omaggio a Winnicott di Alberto Lorenzini è una lettura psicologica del film L’argent de poche di Francois Truffaut, proiettato l’otto novembre scorso dall’associazione Script nella saletta del cinema Lumiere. In quell’occasione, la proiezione del film e la lettura di questo scritto furono al centro di un incontro pubblico dedicato alla psicoterapia dei bambini e all’inaugurazione, presso la sede Script, dell’attività di psicoterapia infantile di Manuela Busso.
Eleonora Aquilini, nella consueta rubrica dedicata alla scuola, ci parla questa volta dei bambini stranieri. La loro presenza genera disperazione fra gli insegnanti e confusione fra le lingue, ma si scopre che, accolta con grazia, può rivelarsi elemento generatore di creatività. La “cartina che gira intorno al sole” del bulgaro Boris ha ricondotto la chimica all’alchimia, alla considerazione che i colori della cartina di tornasole virano come quelli dell’arcobaleno e che quindi, in un certo senso, girano davvero intorno al sole, ma soprattutto, io credo, ha impresso indelebilmente qualcosa nella mente sua e dei suoi compagni di classe. Ha avuto l’effetto di generare esperienza, di avvicinare affettivamente uno sforzo cognitivo e di trasformarlo poeticamente in una sorta di colorato linguaggio universale. Non è poco!
La recensione di Nevrosi e sviluppo della personalità di Karen Horney, una pietra miliare della psicoanalisi interpersonale, ci aiuta a non perdere di vista l’oggettività del disturbo del paziente, nell’idea che tutto il trattamento possa essere impostato sull’hic et nunc di ciò che accade nella relazione. Credo che la rilettura di questo classico possa aiutarci contro il rischio di una unilateralità cui possono esporsi tanto gli psicoanalisti della relazione, quanto gli psicoterapeuti rogersiani.
“Sceneggiature della psiche” ci offre il sapiente articolo di Margherita Fratantonio su “Come Dio comanda” di Salvatores. E’ una lettura puntuale e stimolante, intellettualmente curiosa di spaziare dall’interpretazione psicologica all’analisi della struttura narrativa, comparata col procedere di una tragedia. L’autrice descrive un processo di paternità fuori dal normale, “tossica”, eppure forse molto più vera degli stilemi facilmente identificabili in seno all’ambiente piccolo borghese.
“Magmatica” è occupato interamente dalla poesia. Vincenzo Caracciolo è presente con alcune poesie caratterizzate dalla frammentarietà ricca del verso breve, che coglie come un leggero battito d’ali lo scorrere della realtà, visto appunto da scorci, da occhi che si soffermano un attimo per poi arrivare rapidamente alla conclusione. Il coraggioso “Manifesto artistico” di Massimiliano Antonucci, si aggiunge come articolo alla rubrica. L’autore si presenta come fautore di una poesia molto “sentita” e un po’ estrema (e quindi “magmatica”) che tenta di cogliere, e non di respingere raffinandola, l’intensità emotiva, anche quando la montagna del suo carico può travolgere.
Barbara Frosoni, nella sezione rogersiana, ci offre una riflessione sul counselling, dal punto di vista della filosofia referenziale di Rogers (si potrebbe dire il counselling centrato sul cliente). Anche in questa relazione un po’particolare e ancora poco legittimata in Italia, emergono come fondamentali le capacità di ascolto e di empatia, senza i quali la relazione si ridurrebbe ad una poverissima operazione burocratico-istituzionale.
La sezione “Frammenti”, lo dice la parola stessa, è costituita da una serie di squarci di realtà che hanno colpito colui che li ha scelti. Sono come una specie di intervallo nella lettura di articoli che hanno invece la dignità di un discorso volutamente compiuto.
“Un vasto campo” ci porta direttamente all’interno delle vicende di una famiglia palestinese che ha vissuto i passaggi della diaspora di questo popolo a partire dal 1948. E’ un piccolo omaggio di Script alla giornata della memoria, intesa come il mantenimento in vita delle storie di tutti vinti e sopraffatti, da coloro che hanno ottenuto i crediti riparatori dalla storia, come da quelli che ancora aspettano, e a tutti coloro che sono morti nell’attesa.

Giovanni Lancellotti e Alberto Lorenzini.


Share This