Sono molto contenta e onorata di essere qui, ringrazio Paola Brizzolara che ha avuto l’idea di organizzare questo incontro, Alberto Lorenzini che ha raccolto e concretizzato la proposta idea e ringrazio anche tutte le colleghe e tutti i colleghi qui presenti.

Non è nuovo per me dialogare con altri approcci e soprattutto con la psicoanalisi più avanzata, la psicoanalisi relazionale, la psicoanalisi contemporanea. Mi piace molto farlo e mi trovo molto vicina ad essa: pur appartenendo profondamente alla psicoterapia della Gestalt, mi sento “cugina” degli psicoanalisti, perché effettivamente, come Bernd Bocian (cfr. Bocian, 2012) vi dirà oggi pomeriggio, la Gestalt stessa deriva dalla psicoanalisi.

La psicoterapia della Gestalt è nata negli anni ’50, all’interno del movimento umanistico, dando voce ai limiti percepiti dalla psicoanalisi attraverso dei valori umanistici, e il suo scopo era quello di essere al fianco del paziente anziché analizzarlo, e di favorire il rapporto tra individuo e società. Rappresentare questi valori ha collocato la Gestalt nel movimento umanistico, ma oggi, dopo sessant’anni, noi ci ritroviamo per certi aspetti molto più vicini agli psicoanalisti contemporanei, relazionali, intersoggettivi che non ai nostri fratelli umanisti. È senz’altro interessante aprire un dialogo anche con la terapia centrata sul cliente, altra scuola rappresentata oggi a questo stesso tavolo, come sarebbe interessante aprirlo anche con l’analisi transazionale, essendo questi due gli altri movimenti umanistici che sono nati intorno gli anni ‘50 assieme alla terapia della Gestalt.

La psicoterapia della Gestalt deriva da due matrici principali: la psicologia della Gestalt e la psicoanalisi. Vorrei sottolineare il carattere fenomenologico del nostro approccio, o meglio fenomenologico relazionale. Detto in modo brusco per accentuare la differenza, l’approccio fenomenologico è opposto a quello analitico, perché nasce dalla concezione dell’esperienza come un tutto e dalla particolare considerazione per l’intenzionalità (la tensione-verso) che è presente in ogni esperienza, sia del paziente che del terapeuta. La fenomenologia dice che ogni atto, ogni comportamento tende verso qualcosa.

D’altra parte, la psicoterapia della Gestalt abbraccia il concetto fenomenologico della psicologia della Gestalt, che fu la prima corrente europea a creare una fenomenologia accademica, a partire dallo studio della percezione. Gli psicologi della Gestalt sono partiti dai sensi (gli organi della percezione), e in questo si sono avvicinati all’approccio americano del pragmatismo di Dewey e quindi si sono opposti alla mentalizzazione (Spagnuolo Lobb, 2013; Cavaleri, 2013).

Vogliamo sapere non solo cosa la persona racconta di sé, ma anche e soprattutto la persona racconta la propria esperienza, così come essa sgorga dai sensi, cioè attraverso un racconto il più vicino possibile all’esperienza percettiva; mentre, all’opposto, l’approccio analitico, per essere tale e consentire l’analisi, deve mantenere un criterio di lettura esterno all’esperienza del paziente (mi riferisco ovviamente a presupposti epistemologici, non alla pratica clinica, in cui spesso le nostre divergenze si assottigliano). Nella fenomenologia noi siamo presenti qui e ora nella situazione data e il terapeuta non è “estraneo ai fatti”, ma è una persona che sta nel setting terapeutico per quello che è. Come psicoterapeuti della Gestalt, guardiamo all’esperienza come una realtà co-creata nel qui e ora del contatto con il paziente. Riferirsi ai sensi significa: “cosa vedi”, “cosa senti nel corpo”, “cosa ascolti”. Questo dà una carica particolare, perché più i nostri sensi sono aperti, più sentiamo la carica della nostra esperienza e più ci “intenzioniamo” verso qualcosa.

Questa è l’idea della Gestalt in quanto fenomenologica, ed è un’idea che possiede anche un valore estetico, perché aisthētikós vuol dire relativo ai sensi e l’essere relativo ai sensi ci porta ad un discorso estetico (Spagnuolo Lobb, 2003). La battuta che ho fatto ad Annamaria “eri pregnante quando parlavi, eri pienamente te stessa, era bello vederti”, esprime bene il senso del bello a cui ci riferiamo, il nostro senso estetico. Esso è legato alla vibrazione che proviene dall’altro, ed è per questo che noi terapeuti della Gestalt ci lasciamo affascinare dal fascino che emana dalla presenza del paziente: guardiamo al sintomo che ci porta come se guardassimo un’opera d’arte. Per noi (memori della lezione di Otto Rank) il paziente si presenta con un’organizzazione esperienziale che è arte, e laddove c’è una vibrazione, laddove noi risuoniamo, c’è la risorsa del paziente, c’è la sua opera d’arte, quella tensione che non è stata espressa pienamente e che richiede di essere espressa durante la terapia.

L’altro aspetto cruciale della terapia della Gestalt è l’aspetto relazionale, il concetto di contatto. A questo proposito, noi decliniamo in termini fisiologici la relazione. Per questo non parliamo di relazione, ma di contatto, e intendiamo con ciò il qui e ora della relazione, il modo in cui la persona del paziente entra in contatto con noi e il modo in cui il terapeuta entra in contatto con il paziente, dando forma entrambi all’esperienza del setting terapeutico. Abbiamo delle categorie per leggere il contatto terapeutico e i relativi blocchi (Spagnuolo Lobb, 2012).

Lo scopo della cura gestaltica è la consapevolezza, intendendo con questo termine la presenza ai sensi. La patologia è, al contrario, una forma di desensibilizzazione. Un bambino che non riesce a essere spontaneo a casa, per esempio, mettiamo che la madre è depressa e lui non riesce ad abbracciarla, a sorridere con lei e con i suoi fratellini come vorrebbe, produce un “adattamento creativo”. Si tratta di un concetto cruciale della psicoterapia della Gestalt, che sottolinea la capacità di quel bambino, per esempio, di continuare a vivere risolvendo il problema complesso della situazione (trovando una nuova gestalt percettiva), perdendo il senso della propria spontaneità ma recuperando un certo benessere di tutti (magari rinuncia alla spontaneità dell’abbracciare la madre e di giocare con i fratellini ma accontenta la madre, trova un modo per farla rilassare). Questo rinunciare alla propria sensibilità crea una desensibilizzazione del sé, cioè quel bambino dimentica la voglia di abbracciare e la dimentica nel corpo, quindi desensibilizza il proprio corpo. Per questo, lo scopo della psicoterapia è la consapevolezza, ossia risensibilizzare il confine di contatto. Il paziente sarà invitato a sentire il proprio corpo-in-contatto, ossia a sentirsi presente al terapeuta, e forse sentirà una commozione guardando gli occhi brillanti del terapeuta, o avrà una frustrazione, un senso di rabbia se non si sente capito dal terapeuta. In questo modo il confine di contatto che è stato desensibilizzato si rivitalizzerà e da qui si ripristinerà una spontaneità del contatto (Spagnuolo Lobb, 2011). La patologia è la mancanza di spontaneità, di sensibilità e di sensibilizzazione del sé e la cura è la risensibilizzazione del sé al confine di contatto con il terapeuta, allo scopo di ripristinare una funzione perduta. Naturalmente, questo è un principio epistemologico generale, che va declinato nelle diverse possibilità di sofferenza dei pazienti: la cura di una sofferenza borderline è ben diversa dalla cura di un paziente nevrotico o di un paziente psicotico (Spagnuolo Lobb, 2013a; Francesetti, Spagnuolo Lobb, 2013; Francesetti et al., 2013).

Un altro esempio riguarda il conflitto. Per la terapia della Gestalt il conflitto potrebbe essere quello tra la paura ˗ cioè lo stare nella sedazione della sensibilità ˗ e il rischio. Credo che tutti siamo d’accordo circa l’esistenza di un rischio che vale sia per il paziente, sia per il terapeuta: c’è un rischio nell’andare verso territori sconosciuti che sono quelli della risensibilizzazione del sé. Il conflitto di cui noi ci occupiamo è il gioco tra figura e sfondo, nel senso di andare tra la paura e il rischio che il paziente può prendere, per quel tanto che può prendere.

Personalmente, io mi riconosco in una corrente gestaltica che dà centralità alla teoria, in senso ermeneutico, che non è l’unica diffusa in Italia. Mi riferisco all’approccio gestaltico che si basa sul libro di Perls, Hefferline e Goodman (1951). Devo dire che leggendo gli scritti di uno dei rappresentanti più noti della psicoanalisi relazionale contemporanea, che è Minolli, ho trovato che anche i vostri concetti si avvicinano molto alle nostre vedute, quando per esempio sostenete che il contatto (tra terapeuta e paziente) è l’unica realtà osservabile.

Nota:

Ringrazio la dott.ssa Maria Angela Corriero per la trascrizione della relazione, e il dott. Alberto Lorenzini per l’editing.

Bibliografia

– Bocian B. (2012, ed. or. 2007). Fritz Perls a Berlino: 1983-1933. Espressionismo, psicoanalisi, ebraismo. Milano: Franco Angeli.

– Cavaleri P. A. (a cura di) (2013). Psicoterapia della Gestalt e Neuroscienze. Dall’isomorfismo alla simulazione incarnata. (Prefazione di Vttorio Gallese). Milano: Franco Angeli.

– Francesetti G., Spagnuolo Lobb M. (2013). Beyond the Pillars of Hercules. A Gestalt Therapy Perspective of Psychotic Experiences. In: Francesetti G., Gecele M., Roubal J. (eds.). Gestalt Therapy in Clinical Practice. From Psychopathology to the Aesthetics of Contact, Milano: Franco Angeli, pp. 399-434.

– Francesetti G., Gecele M., Roubal J. (eds.) (2013). Gestalt Therapy in Clinical Practice. From Psychopathology to the Aesthetics of Contact, Milano: Franco Angeli.

– Michele Minolli (2009). Psicoanalisi della relazione. Milano: Franco Angeli.

– Perls F., Hefferline R., Goodman P. (1951). Gestalt Therapy: Excitement and Growth in the Human Personality, edizione riveduta del Gestalt Journal Press (1994) (trad. it. 1971; 1997, La terapia della Gestalt: eccitazione e accrescimento nella personalità umana, Astrolabio, Roma), New York:Julian Press.

– Spagnuolo Lobb M. (2003). Therapeutic Meeting as Improvisational Co-Creation. In M. Spagnuolo Lobb & N. Amendt-Lyon (eds.). Creative License: The Art of Gestalt Therapy, (tr. it. 2007), Vienna and New York: Springer, pp. 37-49.

– Spagnuolo Lobb M. (2011). Il now-for-next in psicoterapia. La psicoterapia della Gestalt raccontata nella società post-moderna. Milano: FrancoAngeli (traduz in lingua inglese: The now-for-next in psychotherapy. Gestalt Therapy recounted in the post-modern society. Milan: FrancoAngeli, 2013; traduz in lingua spagnola. El ahora-para-lo-siguiente en psicoterapia. La psicoterapia de la Gesatlt contada en la sociedad post-moderna. Madrid: Los libros del CTP, 2013).

– Spagnuolo Lobb M. (2013). Isomorfismo: un ponte concettuale tra psicoterapia della Gestalt, psicologia della Gestalt e neuroscienze. In: Cavaleri P. A. (a cura di). Psicoterapia della Gestalt e Neuroscienze. Dall’isomorfismo alla simulazione incarnata. , Milano:Franco Angeli

– Spagnuolo Lobb M. (2013a). Borderline. The Wound of the Boundary. In: Francesetti G., Gecele M., Roubal J. (eds.), Gestalt Therapy in Clinical Practice. From Psychopathology to the Aesthetics of Contact, Milano: Franco Angeli, pp. 617-650.

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