Prefazione
Una nuovo rubrica che sottolinea la nostra attenzione per un settore determinante nello sviluppo sociale: la scuola e la formazione, nel loro rapporto con la psicologia.
La nostra attenzione dipende anche da una lunga frequentazione del mondo della scuola, prima come insegnanti e poi come psicologi, di alcuni componenti di SCRIPT.
Il professor Guido Petter è uno psicologo che si è particolarmente interessato di psicologia dello sviluppo e del rapporto, in verità ancora poco studiato, psicologo-scuola e delle sue implicazioni nella dinamica delle istituzioni educative.
L’intervista qui riportata, a cura di Riccardo Lancellotti, è stata pubblicata sulla rivista “Scuola dell’infanzia”, Edizioni Giunti scuola, n. 9, maggio 2005.
Lo psicologo nella scuola.
UN MESTIERE A TRE DIMENSIONI. Intervista a Guido Petter
A cura di Riccardo Lancellotti
Nel corso della sua lunga e prestigiosa carriera, Guido Petter ha contribuito allo sviluppo della psicologia come scienza e anche alla sua affermazione: Ma non ha dimenticato il suo antico legame con la scuola (è stato insegnante elementare). Ne sono testimonianza il volume Conversazioni con gli insegnanti (1987) che ha avuto diverse ristampe, il volume Psicologia e scuola primaria (1987), in cui si commentano i programmi per la scuola elementare del 1985 sul versante psicologico, e la trilogia Psicologia e scuola dell’infanzia (1997), Psicologia e scuola di base (1999), Psicologia e scuola dell’adolescente (1999).
Da poco ha dato alle stampe il volume Lo psicologo nella scuola (2004). Questa lunga fedeltà alla scuola e alla casa editrice Giunti (quasi tutti i suoi studi di psicologia sono pubblicati da Giunti Editore), ci era nota, ma abbiamo voluto metterne a parte anche i lettori chiedendogli di parlare non tanto del libro, ma delle problematiche che ruotano intorno alla figura dello psicologo a scuola: E lui non si è sottratto alla nostra richiesta. Lo ha fatto, come sempre, con spirito di servizio, convinto che la scuola è una delle creazioni della società che necessita di cure e attenzioni continue.
D. Che rapporto vede tra la psicologia accademica e la professione di psicologo, con particolare riferimento a quella di psicologo scolastico?
R. Va detto che la situazione in questo campo non è statica ma, da vari anni, in rapido cambiamento. Le novità si susseguono, nel mondo universitario. Certo, alcuni cambiamenti sono risultati sfavorevoli per quanto riguarda la preparazione che i futuri psicologi possono ricevere nell’università. Per esempio, fino a poco tempo fa operavano nelle Facoltà di Psicologia, per condurvi seminari con gli studenti e per metterli in rapporto con le scuole, anche molti maestri “comandati”, una figura questa che ora è abolita. Ma vi sono, per fortuna, anche cambiamenti in positivo: non pochi docenti di discipline psicologiche conducono ricerche nelle scuole, lavorano in collaborazione con gli insegnanti, organizzano per loro corsi di aggiornamento su tematiche psicologiche. Inoltre, la presenza di varie discipline psicologiche nei curricoli (ora anche a livello universitario) per la preparazione dei maestri, o in quelli della Scuola per la formazione postuniversitaria degli insegnanti della scuola secondaria (la Ssis), contribuisce a creare una maggiore consapevolezza dell’utilità del lavoro che potrebbe svolgere uno psicologo scolastico. E in molti dei corsi di laurea in Psicologia è ormai presente (sia nel triennio, sia nel successivo biennio specialistico) un indirizzo di Psicologia dello sviluppo e dell’educazione che, tra i suoi compiti, ha appunto quello preminente di preparare gli esperti destinati ad operare nel mondo della scuola.
D. Gli insegnanti vivono con una certa ambivalenza il ruolo dello psicologo e della psicologia nella scuola. Da un lato attendono dallo psicologo risposte, soluzioni ai problemi dei loro alunni (o ai problemi che i loro alunni creano nelle classi); dall’altro sono un po’ diffidenti, perché pensano che in classe, alla fin fine, ci sono loro, e dall’esterno è facile dare consigli(“vorrei vedere lui al mio posto…”). In quale misura lo stato della psicologia scolastica in Italia contribuisce a mantenere in vita questo atteggiamento?
R. Un’ambivalenza è emersa negli anni scorsi, quando era in discussione il progetto di legge che tendeva a collocare lo psicologo scolastico all’interno della scuola, con diritti e doveri simili a quelli degli insegnanti. Molti dirigenti scolastici, pur riconoscendo l’utilità di questa figura, hanno vissuto la cosa come una sorta “d’invasione di campo”. Ora quel progetto è decaduto, e sta invece delineandosi un altro orientamento, che vede lo psicologo scolastico come un espero esterno alla scuola, con il quale quest’ultima, nella sua autonomia, può stabilire convenzioni per determinati interventi. Tuttavia l’ambivalenza resta, nel senso che, se da un lato gli insegnanti vorrebbero poter contare su un esperto che condivida con loro il peso e la responsabilità di “gestire” alunni con difficoltà di vario tipo, da un altro alto considerano con una certa diffidenza una figura che, ai loro occhi, “presuma” anche di fornire loro, spesso in forma solo teorica, delle indicazioni su come può essere gestita una classe, sulla qualità dei rapporti personali da stabilire con gli allievi, sui modi più efficaci di proporre le “attività di apprendimento”. Questa diffidenza viene certo alimentata dal fatto che la preparazione professionale dello psicologo scolastico è spesso, per certi aspetti importanti, ancora carente.
D. Lo psicologo che lei tratteggia nel suo libro interagisce con la didattica, indica ai docenti gli aspetti psicologici delle varie discipline, in modo che esse divengano realmente “strumento del pensiero”. L’attenzione verso questo aspetto della psicologia, che lei ha dimostrato sin dai tempi delle fortunate Conversazioni psicologiche con gli insegnanti, e che si sviluppa in questo nuovo libro proponendo, tra l’altro, la “metafora del trifoglio”, è piuttosto raro. Gli psicologi che si occupano di scuola, i quali spesso tentano di applicare paradigmi di psicologia clinica o di comunità, non sempre sono in grado di consigliare i docenti sulle strategie da attuare sul versante cognitivo. E’ questo un limite dei percorsi di formazione degli psicologi che finiscono per operare nella scuola?
R. Io credo che lo psicologo scolastico potrà superare diffidenze o resistenze presenti in molti insegnanti solo se, da un lato, saprà comportarsi con molto tatto (e cioè sottolineando spesso che egli intende limitarsi a considerare gli aspetti psicologici della vita di classe e dei vari insegnamenti, senza la pretesa di insegnare ai docenti “il loro mestiere”), e dall’altro cercherà di acquisire, accanto alle competenze psicologiche, anche quelle competenze culturali che gli possano permettere di illustrare i suoi consigli con esempi concreti relativi ai singoli insegnamenti. Lei ha richiamato la “metafora del trifoglio”. E’ proprio utilizzando anche questo strumento che uno psicologo può aiutare un insegnante a mettere a fuoco i vari aspetti psicologici della disciplina che insegna: sia quelli formativi (la prima foglia: certe capacità di base, certe tecniche specifiche, certi atteggiamenti o valori), sia gli aspetti motivazionali (la seconda foglia: i vari modi in cui si può suscitare l’interesse e ottenere il coinvolgimento pieno degli allievi), sia infine quelli interdisciplinari (la terza foglia, riguardante le varie modalità per creare collegamenti con le altre discipline). Ma per fare questo in modo efficace egli non può restare a un livello solo teorico, deve ogni volta portare degli esempi concreti. Gli psicologi che intendono operare a contatto con gli insegnanti dovrebbero acquisire, oltre a competenze di tipo sociale e clinico, anche competenze culturali di un certo tipo, nelle varie discipline. Non sempre quelli che lavorano nella scuola le hanno già in misura soddisfacente. Oggi si sta con fatica cercando di delineare percorsi di formazione universitaria degli psicologi scolastici che vengano incontro anche a queste esigenze.
D. Il suo libro si apre con una dedica: “A tutti i miei allievi di ieri e di oggi”: All’inizio della sua carriera lei ha operato nella scuola elementare e nella scuola media come insegnante: Mi piace pensare che tra gli allievi “di ieri” vi siano anche quelli con il grembiulino che lei un tempo guardava tutti negli occhi in un’aula di scuola elementare. Cosa è rimasto del docente della scuola di base nello studioso emerito di psicologia dello sviluppo di oggi?
R. Sì, ci sono anche i miei allievi delle scuole elementari e medie. Io facevo il maestro quando ho intrapreso le mie prime ricerche di psicologia, e proprio quei miei piccoli allievi mi hanno permesso di cogliere dal vivo molti aspetti psicologici della vita scolastica, di riflettere sulla natura dei processi di comprensione, sulle motivazioni, sul linguaggio, sulla comunicazione, sui processi di apprendimento, e più in generale sulle condizioni che dovrebbero essere create per rendere la scuola un ambiente accogliente, che aiuta davvero i bambini a crescere, che permette loro di vivere con frequenza, anche più volte al giorno, dei momenti di felicità.
Del resto bambini e ragazzi (e talvolta proprio alcuni di quei bambini e di quei ragazzi) sono costantemente presenti come personaggi anche nei libri di narrativa destinati a lettori di quelle età. I bambini e i ragazzi io continuo poi ad incontrarli, da tanti anni, nelle scuole elementari e medie, in occasione di quegli “incontri con l’autore” che costituiscono una delle esperienze più interessanti, arricchenti e cariche di emozioni che uno scrittore possa avere la fortuna di vivere. Nello psicologo quale oggi sono è sicuramente rimasto molto del maestro di allora(e anche del professore di scuola media che seguì):quelle esperienze sono state per me davvero fondamentali, mi hanno segnato per l’intera vita.
Riccardo Lancellotti