“È il più terrificante dei sentimenti rendersi conto che il medico non sa vedere la tua realtà, che non sa capire quello che senti, e che sta andando avanti semplicemente di testa sua. Cominciavo a sentire di essere invisibile e forse di non esserci nemmeno”.

Ronald Laing “L’io diviso”.

Le premesse di quell’attitudine terapeutica e relazionale che, in un secondo tempo, Rogers chiamerà empatia si trovano nell’opera “Psicoterapia di consultazione”. [1]
Nella prima parte del libro, ad esemplificazione di un ascolto in sede di counseling, viene illustrato l’atteggiamento del counselor più funzionale in tal senso:

“ Il counselor ascolta senza criticare, senza discutere, senza dimostrare consenso, lo sfogo adirato della madre, la sua sensazione di impotenza, la sua pena e la sua disperazione, accetta tutti questi sentimenti come un dato di fatto e li esprime in forma più chiara di quanto abbia fatto la madre. Inoltre il counselor recepisce non il contenuto, ma il sentimento delle lagnanze della madre”. [2]

“…in forma più chiara di quanto non abbia fatto la madre” e “…recepisce non il contenuto, ma il sentimento” sono già le due caratteristiche generali di una relazione empatica e cioè la comunicazione all’altro della ricezione e l’ingresso del terapeuta nel campo delle emozioni e non del semplice contenuto.
E questa intuizione viene ulteriormente ribadita, sempre nella stessa opera:

“Probabilmente ciò che è più difficile acquisire, nel counseling, è l’arte di fare attenzione al sentimento espresso dal soggetto, per poter dare una risposta al sentimento, piuttosto che occuparsi esclusivamente del contenuto intellettuale”. [3]

Questa risposta al sentimento non viene ancora formalizzata, non ne viene costruita una formula procedurale, ma ne viene indicata chiaramente l’esigenza fondamentale, soprattutto in presenza dell’espressione di sentimenti negativi da parte del cliente.
Nelle pagine immediatamente seguenti, sempre della stessa opera, vengono confrontati gli ascolti di altri due clienti (due studenti universitari bloccati nella progressione degli studi). Il dialogo delle due consultazioni viene registrato e ne viene fatta un’analisi puntuale e un confronto fra le reazioni del primo counselor, che rispondeva soprattutto sul piano del contenuto, e l’atteggiamento del secondo, che rispondeva anche sul piano dei sentimenti (si tratta del caso clinico di Paul).
La riflessione di Rogers è tesa a dimostrare come questa seconda modalità allarghi notevolmente l’area della coscienza di Paul, che passa dall’attenzione al problema immediato alla scoperta di una profonda contraddizione esistente nell’impostazione del rapporto con i genitori, che si rivelerà poi essere l’elemento bloccante delle energie da rivolgere allo studio.
L’andamento del secondo colloquio con Paul sottolinea come il counselor riprenda le affermazioni dello studente e ne sottolinei le emozioni e i sentimenti provati.
In buona sostanza, in questi esempi, viene descritta una condizione del rapporto terapeutico che, in seguito, con puntualizzazione via via sempre più precisa, verrà definita empatia.
Nelle opere successive Carl Rogers attribuirà sempre all’empatia una posizione centrale nel corpus teorico-pratico della sua psicologia e della sua filosofia.
Nell’opera fondamentale di Rogers [4] l’empatia viene elencata fra le sei condizioni necessarie per provocare una modificazione costruttiva della personalità.
Infatti, al punto 6, si legge:

“Il terapeuta prova una comprensione empatica del sistema di riferimento interno del cliente e si sforza di comunicare al cliente questa esperienza”

e, al punto 7:

“Si verifica una comunicazione, almeno parziale, della comprensione empatica e della considerazione positiva ed incondizionata del terapeuta per il cliente”. [5].

Chiare e nette sono qui le due condizioni caratteristiche dell’empatia e della sua funzionalità: sentire, da parte del terapeuta, il riferimento interno del cliente (il cliente sul piano emozionale) e restituirlo al cliente stesso.
Nell’analisi specifica della condizione empatica, questa viene poi definita come:

“ …Sentire il mondo personale del cliente come se fosse nostro, senza però mai perdere questa qualità del come se, questa è empatia: sentire l’ira, la paura, il turbamento del cliente, senza però aggiungervi la nostra paura, il nostro turbamento”.

Poco dopo viene anche spiegata chiaramente la finalità di questa condizione:

“ … Quando il terapeuta sente il mondo personale del cliente in modo così chiaro da potervisi muovere liberamente, può sia esprimere quello di cui il cliente si rende conto, sia dare un significato a quegli aspetti dell’esperienza del cliente di cui egli stesso (il cliente) è scarsamente conscio”. [6]

Sempre nella medesima opera, con atteggiamento scientifico (nel senso di opinione sottoposta a prova e verifica) Rogers riporta i dati di uno studio di Heine [7], riferiti alle risposte di un certo numero di soggetti trattati in psicoterapia da specialisti di scuole diverse.
Alla domandache cosa avesse determinato i cambiamenti nel corso del rapporto psicoterapeutico, i clienti hanno risposto, tra l’altro, che

“ …la procedura terapeutica che avevano trovato più giovevole era quella in cui il terapeuta chiarificava e definiva apertamente i sentimenti che il cliente aveva accennato in maniera nebulosa ed esitante” [8].

Successivamente, in ordine temporale, la ricerca di Quinn sottolinea che capire i sentimenti del cliente è essenzialmente un desiderio di comprendere, in senso generale di accogliere, di “tenere dentro”:

“ … sembra abbastanza chiaro che sia l’atteggiamento di voler comprendere l’essenza di ciò che si comunica” [9].

Il desiderio di voler comprendere l’essenza emotiva di quello che il cliente comunica, come se il terapeuta lo sentisse di persona può anche dare adito ad errori, ma lascia sempre la possibilità di rimediare, in quanto permette al cliente la possibilità di meglio precisare quello che sente.
Sempre nella stessa opera, quando Rogers parla delle caratteristiche di una relazione di aiuto, dedica all’empatia un lungo ragionamento, che vale la pena di riportare:

“Un altro quesito che mi pongo è questo. Posso entrare completamente nel mondo dei sentimenti e dei significati personali di un altro, in modo da recepirli così completamente da perdere ogni desiderio di valutarlo e di giudicarlo? Posso entrarci in modo così sensibile da potermi muovere liberamente, senza calpestare dei significati per lui preziosi?
Posso scrutarlo in modo così fine da poter afferrare non solo i significati dell’esperienza per lui ovvi, ma anche quelli che sono solo impliciti, che egli vede oscuramente o confusamente? Posso estendere senza limiti questa comprensione? Penso a quel cliente che diceva: – Quando io trovo qualcuno che capisce solamente una parte di me so che si giungerà ad un momento in cui non potrà più capirmi. Ciò che ho atteso con tanta ansia è qualcuno in grado di capire la mia persona tutta intera. –
Per me è più facile trovare questo tipo di comprensione per alcuni clienti trattati individualmente che non per gli studenti di un corso o per i membri di un gruppo di lavoro. Sono, infatti, tentato di dire bravo allo studente e di mostrare al mio collaboratore gli errori nel suo modo di pensare. Quando tuttavia posso permettere a me stesso di comprendere a fondo, anche in queste situazioni, ciò è di vantaggio reciproco. Con i clienti in terapia, poi, sono spesso impressionato dal fatto che anche una minima quantità di comprensione empatica, anche un tentativo precario e maldestro di afferrare la confusa complessità dei suoi significati è utile, sebbene non ci sia dubbio che è più utile voler vedere e formulare chiaramente i significati per lui ancora confusi e poco chiari delle sue esperienze” [10].

Quando poi vengono trattate le caratteristiche del rapporto interpersonale Rogers evidenzia le difficoltà del sentire empatico e la infrequenza di questo tipo di comprensione nel rapporto sociale quotidiano. Molto più diffusa è la comprensione che valuta dall’esterno e filtra attraverso l’esperienza dell’ascoltatore le sensazioni dell’altro, così deformandole e selezionandole.
L’empatia è invece una veritiera apertura a cercare di comprendere lo stile di vita che un’altra persona sperimenta; in tal modo una persona può accorgersi che qualcuno (in questo caso il terapeuta) lo capisce e capisce come la persona pensa di essere, senza voler analizzare o giudicare.
In una tale atmosfera il cliente avverte la possibilità di aprirsi e di crescere e, soprattutto, di non essere solo in “quel” sentimento.
Quest’ultima sensazione, da parte del cliente, è molto importante, soprattutto all’inizio del processo terapeutico, perché gli permette di sperimentare e di riconoscere i suoi sentimenti negativi.
Questo primo passo è essenziale per lo sviluppo del futuro rapporto psicoterapeutico: la comunione di contatto crea “compagnia” e, di conseguenza, legame.
È proprio il presupposto caratteristico della relazione empatica che rende possibile quello che Rogers chiama “l’imponente movimento del quarto stadio dello sviluppo terapeutico”, quando:

“Il cliente riconosce l’importanza delle contraddizioni e delle incongruenze tra l’esperienza e il Sé…Il cliente comincia a sentirsi responsabile dei propri problemi, anche se un tale sentimento è molto precario. Sebbene una relazione personale gli appaia ancora pericolosa, il cliente si arrischia, entrando in rapporto, entro certi limiti, sulla base dei propri sentimenti” [11].

Fino ad arrivare alla pienezza, a volte “positivamente drammatica” del quarto stadio quando:

“ …l’immediatezza dell’esperienza attuale ed i sentimenti in essa implicati sono accettati come qualcosa che è presente, non come qualcosa da negare, da temere o da combattere”. [12]

Per arrivare a quella che può sembrare una sorta di summa del pensiero di Rogers (almeno per quanto riguarda le opere tradotte in italiano), riguardo all’argomento empatia, bisogna attendere “Un modo di essere”. [13] Un intero capitolo del libro, il settimo, è dedicato all’empatia.
In queste pagine Rogers, nel suo stile molto personale, che unisce il racconto di riflessioni intellettuali alla presentazione di esperienze professionali e alla descrizione di relazioni professionalmente significative, ripercorre le tappe fondamentali del suo cammino di terapeuta.
Riferendosi alle prime esperienze, soprattutto di counseling, Rogers ribadisce l’importanza di un ascolto attento, in una relazione di aiuto e racconta che, agli inizi della professione, non avvertiva ancora chiarezza riguardo alla selettività dell’ascolto e ad una possibile interazione col cliente.
Ed è del periodo successivo alle prime esperienze, il periodo cioè di insegnamento alla Ohio State University, la profonda riflessione sui metodi della psicoterapia e la messa a punto degli strumenti originali, tra cui l’empatia, concetto di cui la seguente definizione è forse la più completa:

“ …lo stato di empatia, dell’essere empatico, è il recepire lo schema di riferimento interiore di un altro con accuratezza e con le componenti emozionali e di significato ad esso pertinenti, come se una sola fosse la persona – ma senza mai perdere di vista questa condizione de come se. Significa perciò sentire la ferita o il piacere di un altro come lui lo sente, e di percepirne le cause come lui le percepisce, ma senza mai dimenticarsi che è come se io fossi ferito o provassi piacere e così via. Se questa qualità di come se manca, allora lo stato è quello dell’identificazione”. [14]

Sempre in “Un modo di essere” viene anche sottolineata la grande importanza dell’empatia nel processo terapeutico:

“ …un alto grado di empatia in una relazione è probabilmente il fattore più potente nell’apportare trasformazioni e apprendimento”. [15]

Molto significativa è anche l’attenzione che Rogers dedica all’esperire e alla funzione dell’empatia in tal senso, nel significato che un terapeuta empatico è l’agente più efficace per

“ …richiamare in modo sensibile l’attenzione sul significato percepito che il cliente sta sperimentando in quel particolare momento, e portare ulteriormente al suo esperire pieno e non inibito”. [16]

Sempre nello stesso capitolo Rogers ribadisce, con altre parole, ma con analogo significato, la definizione di empatia, soffermandosi particolarmente sulla condizione del come se.

In “Un modo di essere” Rogers sembra molto più attento a definire gli aspetti della sua dottrina in chiave filosofica, nel significato più generale di “mondo dei fini”, che a delimitarli sotto l’aspetto psicologico, nel significato più specifico di “mondo delle relazioni”; tant’è che un intero paragrafo, sempre nel capitolo settimo, è dedicato ad una sorta di divulgazione “illuminista” per i non addetti del concetto di empatia.

Le parole precise di questa definizione non sono di pugno di Rogers, ma estratte da un opuscolo, intitolato “Rap Manual”, frutto di un corso di formazione tenuto da due psicologi, Gendlin e Hendricks, presso una Comunità di sostegno chiamata Cambiamenti e finalizzata ad aiutare le persone comuni a sostenere il processo di cambiamento di un’altra persona. [17]

La descrizione riguarda un fenomeno definito “ascolto assoluto”, ma si adatta benissimo all’empatia:

“ …qui non si tratta di fare trucchi alla gente. Ascoltate semplicemente, e quindi riproponete la cosa che l’altra persona sta esprimendo, fino a che, un passo dopo l’altro, essa riesce ad afferrarla al momento dato. Non mescolate con essa alcuno dei vostri pensieri o ipotesi, non mettete mai nell’altra persona una qualunque cosa che essa non abbia espresso. Per mostrare che comprendete esattamente, dite una frase o due che tocchino con precisione il significato personale che l’altra sta cercando di formulare. Questo di solito può essere fatto anche con parole vostre, ma servitevi delle parole dell’altro se la questione è particolarmente spinosa”. [18]

Sempre in “Un modo di essere” viene sottolineata la qualità fondamentale del terapeuta, cioè l’empatia, la cui competenza viene presentata come separata da conoscenze professionali di altra natura:

“ …è importante sapere che la misura in cui un terapeuta crea un clima empatico non è correlata con le sue prestazioni accademiche o capacità intellettuali”. [19]

Rogers definisce quindi l’empatia non come uno strumento terapeutico acquisito nell’ambito di un apprendimento meramente intellettuale e libresco, ma come un modo di essere del terapeuta, appreso nelle esperienze di formazione e continuamente verificato sia nell’ambito professionale che nella vita quotidiana.
Nella stessa opera troviamo poi una sorta di decalogo sugli scopi e la funzione dell’empatia:

“ …il terapeuta ideale è soprattutto empatico.
L’empatia è correlata coi movimenti di autoesplorazione ed elaborazione.
L’empatia, all’inizio della relazione, ne prepara il successo futuro.
“Nei casi che registrano un successo, il paziente arriva a percepire un’empatia maggiore.
La comprensione empatica è fornita liberamente dal terapeuta e non passivamente.
Tanto più è esperto il terapeuta, tanto più è probabile che sia empatico.
L’empatia è una qualità particolare in un rapporto e i terapeuti, in ultima analisi, ne offrono di più degli amici veri.
Quanto più un terapeuta è integrato, tanto maggiore è il grado di empatia che dimostra.
I terapeuti “esperti” non sono empatici.
I clienti sono giudici migliori del grado di empatia, rispetto ai terapeuti.
L’ingegnosità e l’acume diagnostico non sono correlati con l’empatia.
Un modo di essere empatico può essere appreso da altre persone empatiche”. [20]

Alla fine del capitolo (stiamo sempre parlando del settimo capitolo di “Un modo di essere”) Rogers individua come essenziali, per la promozione della crescita in ambito psicoterapeutico, le seguenti motivazioni:

“ – l’accettazione e l’assenza di giudizio di una relazione empatica permettono al cliente di assumere un atteggiamento di autovalorizzazione;

– essere ascoltati dagli altri permette maggiormente di ascoltare se stessi;

– la maggiore comprensione di sé apre il campo a nuovi aspetti dell’esperienza che diventano parti integranti di un concetto si sé più accuratamente fondato” [21]

Vorrei terminare questo breve excursus, di natura meramente “compilativa”, sull’importanza dell’empatia nel corpus dottrinale rogersiano, con l’accorato appello della paziente, il cui caso viene raccontato da Rogers come esempio di una psicoterapia tecnicamente ineccepibile, strutturata e referenziata secondo protocolli unanimemente condivisi dall’équipe terapeutica in questione, ma fredda e caratterizzata da una professionalità sterile. Si tratta del caso di una giovane donna, chiamata convenzionalmente Elen West, finita suicida.
Rogers descrive il caso, sottolinea la freddezza intercorsa tra i terapeuti e la donna, l’incongruenza fra le necessità della persona e la mancanza assoluta di empatia nelle varie relazioni terapeutiche.
Elen West, prima di essere lasciata sostanzialmente al suo destino (i medici, a dispetto del rischio di suicidio, arrivano alla seguente conclusione: “ …non è possibile alcuna terapia affidabile. Dimettiamo la paziente”), lancia un appello disperato:

“…io grido, ma loro non mi sentono”. [22]

Una conferma emblematica e drammatica, riportata dall’esperienza di Rogers, che empatia vuol dire essenzialmente “sentire” l’altro e che, se nella relazione terapeutica manca questo elemento, “l’altro da noi” scompare.

A chiusura vorrei riportare un pensiero di Bruno Bettelheim e una poesia di Margherita Guidacci che, con parole sentite testimoniano di come l’empatia sia elemento essenziale di una relazione autentica, terapeutica e non.

“Il cuore coraggioso deve infondere nella ragione tutto il suo calore vitale, e la ragione deve perdere la sua astratta simmetria per ammettere l’amore e le pulsazioni della vita.
Non possiamo più accontentarci di una vita il cui cuore ha le sue ragioni che la ragione non conosce. Il nostro cuore deve conoscere il mondo della ragione, e la ragione deve essere guidata da un cuore consapevole”. [23]

AL DOTTOR Y

Sei all’oscuro di tutto come noi.
Tu non puoi ricomporre un disegno spezzato,
Rendere a un fiore il suo stelo
Ad una vela la sua barca.

Quei cocci che furono anime
Non ti dicono i loro segreti.
Ma sui sentieri ingombri di macerie
Tu cammini umilmente

E raccogli ed attendi
Senza imporre nessuna conclusione
Dove altri userebbero la loro presunzione
E una scopa antisettica. [24]

Giovanni Lancellotti
Psicologo psicoterapeuta SCRIPT Centro Psicologia Umanistica


NOTE:

[1] CARL ROGERS “Psicoterapia di consultazione”, Astrolabio, 1971 (edizione americana 1942).

[2] CARL ROGERS op.cit., pag. 41.

[3] CARL ROGERS op.cit., pag 131.

[4]  CARL ROGERS “La terapia centrata sul cliente”, Martinelli, 1970 (edizione americana 1957).

[5] CARL ROGERS op.cit., pag. 51.

[6] CARL ROGERS op.cit., pag. 57.

[7] Nell’edizione italiana di “La terapia centrata sul cliente” è stata omessa, probabilmente per un errore di stampa, la nota bibliografica relativa alla ricerca di questo autore.

[8] CARL ROGERS op.cit., pag. 71.

[9] R.D. QUINN, riportato in CARL ROGERS, op.cit., pag. 72.

[10] CARL ROGERS, op.cit., pagg. 82,83.

[11] CARL ROGERS, op.cit., pag. 122.

[12] CARL ROGERS, op,cit., pag.130.

[13] CARL ROGERS “Un modo di essere”, Martinelli, 1983 (edizione americana 1980).

[14] CARL ROGERS, op.cit., pag.121.

[15] CARL ROGERS, op.cit., pag. 120.

[16] CARL ROGERS, op.cit., pag. 121

[17] Riportato da CARL ROGERS, op.cit., pag. 125.

[18] CARL ROGERS, op.cit., pagg.125, 126.

[19] CARL ROGERS, op.cit., pag.127.

[20] CARL ROGERS, op. cit., pag.128.

[21] CARL ROGERS, op. cit., pag.129.

[22] CARL ROGERS, op. cit. pag. 139.

[23] BRUNO BETTELHEIM  Prefazione a “Il prezzo della vita”, Adelphi, 1965, pag. XII. In edizioni successive l’opera si trova anche col titolo “Sopravvivere”. L’edizione americana, dal titolo “The informed heart” è del 1960. L’autore, in questo libro, narra la sua esperienza di internato, nei campi di concentramento di Dachau e di Buchenwald, negli anni 1938-1939.

[24] MARGHERITA GUIDACCI “Neurosuite”, Neri Pozza Editore, Vicenza, 1970, ora raccolta in “Le Poesie”, Editrice Le Lettere, 1999. La raccolta di poesie “Neurosuite” di Margherita Guidacci (Firenze 1921 – Roma 1992), è stata scritta come il racconto di un ricovero psichiatrico dovuto ad una grave crisi depressiva della poetessa stessa.

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