Testi dell’incontro pubblico “L’apatia del cuore”, 30 Settembre 2006.

la locandina del filmRegia: Claude Sautet.
Soggetto, sceneggiatura e dialoghi: Claude Sautet, Jacques Fieschi (liberamente ispirato dal racconto dello scrittore russo Michail Lermontov, 1814-1841, “La principessina Mary”, compreso nel romanzo Un eroe del nostro tempo, pubblicato nel 1840).
Scenografia: Christian Marti.
Fotografia: Yves Angelo.
Montaggio: Jacqueline Thieddot.
Musica: Maurice Ravel, direzione musicale Philippe Sarde.
Suono: Pierre Lenoir.
Attori e interpreti:
Daniel Auteil (Stéphane)
Emmanuelle Béart (Camille)
André Dussolier (Maxime)
Elizabeth Bourgine (Hélène)
Brigitte Catillon (Régine)
Maurice Garrel (Lachaume)
Myriam Boyer (Madame Amet)
Jean-Luc Bideau (Ostende)
Produzione: Film par film – Cinéa – Orly film –SEDIF – D.A.Films – Paravison International – FR3 Films Production, con la partecipazione di Canal +.
Distribuzione: Academy.
Durata: 105’.
Origine: Francia, 1992.

Maxime e Stéphane sono due liutai. Hanno studiato musica, poi si sono dedicati alla fabbricazione e al restauro dei violini: Hanno un atelier insieme, assai reputato. Maxime è l’estroverso, quello che va in giro per l’Europa a trovare vecchi violini da rimettere in sesto; Stéphane è l’introverso, più bravo del socio, ma più solitario.
Un giorno Maxime, nel consueto ristorante, indica a Stéphane una giovane violinista, Camille (accompagnata dalla segretaria-impresaria Régine): nonostante sia sposato, ma è ormai una convivenza spenta, Maxime comunica all’amico che ama Camille e che intende vivere con lei.
Dopo una visita al vecchio maestro di Conservatorio, ora ammalato ma ancora pieno di vita (è stato anche insegnante di Maxime e di Camille), Stéphane riassesta il violino di Camille, non soddisfatta del suono: le serve uno strumento perfetto, dai toni chiari, dovendo incidere un disco con le due Sonate (per violino e piano e per violino e violoncello) e il Trio di Ravel.
Una prova privata della Sonata per violino e violoncello non funziona bene, Camille è turbata dalla presenza di Stéphane. Sempre più innervosita, Camille litiga con Régine, mentre Stéphane frequenta la libreria di Hélène, un’amica e confidente (probabilmente segretamente innamorata di lui).
Tutti si incontrano ad una cena all’aperto, nella casa di campagna del vecchio maestro, durante la quale Stéphane si sottrae alla discussione.
Una prova del Trio rivela che il violino dà il suono desiderato.
Camille visita Stéphane che, nel suo laboratorio, guida l’operato di un allievo intento a costruire il suo violino.
In sala d’incisione: registrazione della Sonata per violino e piano. Durante la pausa Camille si intrattiene al caffè con Stéphane e i due si sentono vicini; la sera però si trova con Maxime e fa all’amore con lui.
Incisione del Trio. Il giorno dopo Maxime mostra a Stéphane l’appartamento, in corso di allestimento, in cui andrà ad abitare con Camille. Stéphane ha un mancamento.
Più tardi Stéphane si ritrova con Camille al solito caffé-ristorante, e di fronte all’interessamento di lei si trincera dietro una maschera di freddezza e di cinismo. Maxime si accorge della situazione di imbarazzo, e la sera chiede a Camille ragione del suo interessamento per l’amico. Fra loro non c’è stato niente, afferma la donna, ma ammette che pensa a Stéphane.
Mentre Maxime è assente, si tiene l’ultima incisione (Sonata per violino e piano, eseguita con una vis formidabile).
Al termine Camille non presenzia alla cena organizzata per festeggiare la conclusione del lavoro, ma si apparta con Stéphane, che però la blocca rudemente, affermando di non amarla. Camille se ne va profondamente addolorata, mentre Stéphane si reca dal suo vecchio maestro; assiste nell’ombra ad un diverbio fra quest’ultimo e la sua compagna-governante, a causa della salute che continua a peggiorare, e torna indietro senza farsi vedere.
Camille, il giorno dopo, si è ubriacata e, truccatasi pesantemente, affronta Stéphane al ristorante, ottenendo un ulteriore rifiuto. La donna fa una scenata in pubblico, insultando Stéphane, mentre Maxime, sopraggiunto, lo schiaffeggia.
I due soci si sono separati.
Stéphane passa qualche giorno dal suo maestro. Impianta un nuovo laboratorio di liuteria. In casa di Camille le chiede scusa e la saluta, lei è in partenza per una tournée. E’ passato del tempo. Hélène, l’amica libraia, si sposa e se ne va. Maxime visita Stéphane nel suo nuovo laboratorio e gli comunica che il vecchio maestro sta male e vuole morire.
In casa di quest’ultimo, M.me Amet comunica Stéphane e a Maxime che non se la sente di esaudire la preghiera del compagno, dargli una dolce morte.
Alla bisogna provvede Stéphane.
Nel solito ristorante Maxime chiacchiera con Stéphane mentre aspetta Camille.
Quest’ultima se ne va con Maxime, non senza aver rivolto a Stéphane un lungo sguardo commosso.

La trama del film è tratta da Ermanno Comizio “Un cuore in inverno” di Claude Sautet, in “Cineforum” n. 321, Gennaio-Febbraio 1993).

CLAUDE SAUTET (1924, Montrouge – 2000 Parigi).

Appassionato di pittura e scultura studia all’Ecole des Arts Décoratifs di Parigi. Il suo interesse per la scenografia lo fa accostare al cinema, ma deve interrompere uno “stage” a causa dello scoppio dell’ultimo conflitto.
Dopo la guerra si dedica a varie attività, fra cui quella di critico musicale per la rivista “Combat”, diretta da Albert Camus.
Frequenta l’IDHEC (Institute del hautes études cinématographiques, la rinomata scuola di cinema di Parigi) e si diploma, passando all’attività di assistente alla regia ed ad altre pratiche cinematografiche: produzione e regia di cortometraggi, produzione di trasmissioni televisive, sceneggiatura, scenografia.

Dal 1951 si dedica alla regia, senza abbandonare le altre professioni cinematografiche che avevano caratterizzato gli inizi di quella che sarà una lunga carriera.

Filmografia parziale (l’elenco riporta soltanto i film comparsi anche sugli schermi italiani).

Asfalto che scotta (Classe tous risques) 1960.
Corpo a corpo (L’armée à gauche) 1964.
L’amante (Les choses de la vie) 1970.
Il commissario Pelissier (Max e les ferrailleurs) 1971.
E’ simpatico, ma gli roperei il muso (Cèsar et Rosalie) 1972.
Tre amici, le mogli e (affettuosamente) le altre (Vincent, François, Paul …et les autres).
Una donna semplice (Une histoire simple) 1978.
Una bruta storia (Un mauvais fils) 1980.
Garçon (Garçon) 1983.
Qualche giorno con me (Quelques jours avec moi) 1988.
Un cuore in inverno (Un coeur en hiver) 1992.
Nelly e Monsieur Arnaud (Nelly et Monsieur Arnaud) 1995.

Alcune osservazioni

Gli elementi tecnico-formali scelti da Sautet per rendere l’atmosfera del film si riducono, in sede di riprese e di uso di cinepresa, a scelte semplici, ma molto significative.
La prima è la funzione dell’obiettivo con focale 50, cioè una visione dell’inquadratura che si avvicina maggiormente al campo visivo dell’occhio umano. L’altro aspetto formale è l’uso della cinepresa quasi fissa. Non si nota, nel corso di tutto il materiale filmato, l’uso di una carrellata e, soltanto una volta, la presenza dello zoom, in verità molto leggero e ad allargare il campo da un primo piano ad un quasi impercettibile campo medio (quando il protagonista, Stéphane, è ripreso in esterno, al tavolino del bar, a conversare con l’amica Hélène, che gli confida la sua intenzione di sposarsi). I movimenti di macchina quindi si intendono o sulla fissità della stessa, o sull’uso di panoramiche che seguono, generalmente, i movimenti dei personaggi in interni.
Da punto di vista filmologico le immagini ottenute non forzano l’occhio a guardare dove impone la cinepresa, ma lasciano lo spettatore libero di indagare l’intera inquadratura e di apportare riflessioni proprie alla visione. Contemporaneamente questa interpretazione visiva è un omaggio, alla lontana, alla nascita del cinema (muto) e, più da vicino, al realismo anni ’60, che è stato visitato da Sautet più di una volta, sia nella scelta del noir, sia nell’accostamento a commedie sentimentali-esistenzialiste di ambiente borghese (con attori come Yves Montand o Romy Schneider).
Nello stesso tempo è come guardare il film con l’occhio reso immobile dalla scelta di non-vivere del protagonista, che, come la cinepresa, “riflette” più che interpretare la realtà, la vede “raccontata” più che vissuta.

Il film inizia da una dissolvenza che parte da sfuocato per arrivare a fuoco sulla sagome di un violino e inquadrare, successivamente, le mani di Stéphane al lavoro, per poi continuare con un primo piano sempre del protagonista, che segue con gli occhi il lavoro preciso delle mani (che nella terza inquadratura non sono in campo).
FotogrammaStéphane è quindi presentato attraverso il violino e il suo lavoro.
Questa scelta visiva è altresì carica di effetti narrativi e identitari del personaggio e della storia raccontata: Stéphane non vive, ma vede la vita, soprattutto attraverso le sue rappresentazioni, costituite da oggetti (il violino o i piccoli robot musicali), da parole che raccontano, da occhi che osservano, ma a loro volta non sono inosservati.
Tutta la sua vicenda è, al massimo, un avvicinarsi alla realtà, per poi ritrarsi senza essere coinvolto dalle conseguenze del suo comportamento.
Nelle prime inquadrature c’è anche la voce fuori campo, in prima persona, come se fosse il personaggio interpretato da Daniel Auteuil che racconta di se stesso.
Gli incipit con dissolvenza influenzano lo spettatore come se assistesse alla ripresa di un sogno o ad un racconto, appunto, cioè a fatti già accaduti che sono resi come riportati, quindi con una lontananza di scelta narrativa che è quasi in sinossi con le qualità distanzianti ed evitanti del maestro liutaio. Stéphane osserva tutto, ma senza quasi mantenerne memoria (come quando Hélène, l’amica libraia si sposa ed esce in sostanza dalla loro vita e “dai loro incontri”). Tutto si succede in una superficie che non ferma nulla.

In effetti il piacere del racconto in Stéphane non è tanto la conservazione di una memoria, quanto l’allontanamento della realtà che, se soltanto raccontata, si depura del coinvolgimento del vissuto. Questa scelta caratterizzante può essere interpretata da due punti di vista: attraverso il primo si può cogliere una sorta di metafora dell’arte, che è “lente deformante” della realtà e, per la sua natura che richiede la forma, un distanziamento dalla stessa.
Il secondo punto di vista, più psicologico o filosofico e riferito al ruolo del personaggio Stéphane, può definirlo, ad un primo contatto, come paura di perdere il controllo di sé (ad esempio attraverso l’amore), ma anche, e forse con maggiore interesse, come desiderio di preservare una possibilità che mai sarà espressa, perché, una volta vissuta, può portare alla disintegrazione dell’Io ed alla morte.
Ci sono molti accenni, nel corso del film, che smentiscono l’apatia del cuore di Stéphane (il suo interesse per la giovanissima violinista, la partecipazione al gioco dei bambini, il coraggio di procurare l’eutanasia del suo maestro di conservatorio: “l’unica persona che io ritengo di avere veramente amato”).
FotogrammaCamille, interpretata da Emmanuelle Béart, è apparentemente il personaggio agli antipodi di Stéphane: appassionata, tormentata, disposta a rischiare un rapporto per essere congruente col suo sentimento per Stéphane. Disposta, per amore, a vedere l’oggetto d’amore con il travisamento dell’innamoramento, che suscita anche nell’altro, di solito, attrazione e interesse.
Ma anche in Camille ci sono atteggiamenti di natura autodistruttiva o distruttiva, diversi perché reattivi. La ferita della non amata viene trasformata in violenza (il trucco vistoso, l’abuso di alcool, l’ignoramento di Maxime e di Régine), in gelida indifferenza nei confronti della sincerità della “apertura” di Stéphane (il troppo tardi di una sincronia fallita), in rassegnazione necessaria per continuare la vita (specularmene a Stéphane, Camille si dà interamente alla musica. In una scena verso il finale Maxime dice di lei, parlando a Stéphane, “Lavora molto, lo sai, prima di tutto è una violinista”).
La rinuncia forzata al nuovo innamoramento fa di lei una donna perfetta, che ha però ritirato i suoi sentimenti in una supposta futura possibilità di realizzazione, nella sensazione reale che l’equilibrio della sua vita corrisponde con l’infelicità.
Risuonano nel comportamento di Camille le parole cariche dell’ affascinante utopia del giovane Marx filosofo:

Se presupponi l’uomo come uomo e il suo rapporto col mondo come un rapporto umano, potrai scambiare amore soltanto con amore, fiducia solo con fiducia ecc… Se vuoi godere dell’arte, devi essere un uomo artisticamente educato; se vuoi esercitare qualche influsso sugli altri uomini, devi essere un uomo che agisce sugli altri uomini stimolandoli e sollecitandoli realmente. Ognuno dei tuoi rapporti con l’uomo, e con la natura, dev’essere una manifestazione determinata e corrispondente all’oggetto della tua volontà, della tua vita individuale nella sua realtà.
Se tu ami senza suscitare un’amorosa corrispondenza, cioè se il tuo amore come amore non produce una corrispondenza d’amore, se nella tua manifestazione vitale di uomo amante non fai di te stesso un uomo amato, il tuo amore è impotente, è un’infelicità
”.
Karl Marx. Manoscritti economico-filosofici del 1844. Einaudi 1968 (1949), pagg.156-157. Traduzione di Norberto Bobbio.

Stéphane è invece l’individuo che si “reifica”, si identifica completamente con le cose, con i prodotti artistici, che mediano comunque attraverso la forma distanziante.
Il violino, i piccoli robot musicali, le compagnie tranquille a cui si può avvicinare e allontanare quando vuole, senza gelosia, ma senza nemmeno riuscire a vedere in profondità l’altro, perché questo vissuto sarebbe ad alto rischio di conflitto, di perdita, di dipendenza e di (auto)distruzione.
Stéphane vorrebbe vivere nel mondo iperuranio delle idee platoniche, senza l’esistenza di un demiurgo che lo accompagni nella terrestrità della realtà.
Gli piacerebbe essere un “non nato”.
Condannato come la leopardiana Saffo al “cieco carcere del corpo”, vuole rimanere un’idea intatta, non tanto come potenzialità di esperienze cariche di reale felicità, ma come impossibilità di superare il conflitto della perdita, del fallimento, della dipendenza da un altro essere.
L’origine letteraria dell’ispirazione del film (Lermontov) allontana però notevolmente il personaggio dall’aura romantica di Peciorin (il personaggio maschile lermontoviano), non tanto per il riferimento alla diversità dei due protagonisti, quanto all’atmosfera romantica in sé e per sé, che presuppone comunque una realtà esterna di impedimento che confina l’individuo ad essere sfiduciato nei confronti della possibilità di vivere in felicità il rapporto con l’altro.
Stéphane, invece, è “geneticamente” un alieno.
Significativi, a questo proposito sono i dialoghi fra Stéphane e Camille, tesi, da parte dell’uomo a costruirsi una barriera di parole “neganti” e, da parte della donna, a proporre, fino all’avvicinamento del sacrificio di sé, i propri sentimenti e l’incredulità di fronte all’assenza di Stéphane (l’amore di Camille che non suscita amore).

Stéphane e Camille soli al bar.

Camille: Non è mai stato innamorato?
Stéphane: Mi deve essere successo.
Camille: Non le piace parlare di sé.
Stéphane: Non molto.
Camille: Perché?
Stéphane: Non mi entusiasmo gran che, e poi non serve a niente. 
Camille: Dipende con chi. Io posso passare intere giornate in silenzio e, di colpo, se sono a mio agio, con la stessa naturalezza mi lascio andare…
Stéphane: Mi piace guardarla parlare.

Stèphane e Camille al caffè, Maxime sta telefonando.

Camille: Perché mi sfugge?
Stéphane: Io non la sfuggo.
Camille: Non so, forse ho fatto qualcosa che le è dispiaciuto.
Stéphane: No, che dice, ho avuto molto da fare.

FotogrammaCamille: Pensavo che le stesse a cuore ciò che facevo, che mi stesse vicino. E’ per via di Maxime?
Stéphane: Maxime?
Camille: Chissà, forse ha degli scrupoli, data la vostra amicizia.
Stéphane: Non c’è amicizia fra me e Maxime.
Camille: Non c’è amicizia?
Stéphane: No, siamo soltanto soci. Dopo tutti questi anni ci comprendiamo. E’ interesse di entrambi, è lavoro, niente di più.
Camille: Eppure lui la considera un amico.
Stéphane: Non posso certo impedirglielo.
Camille: Non le credo.
Stéphane: Perché, forse queste cose non si dicono? Ma sono vere, persino banali. Lo trova sconcertante?
Camille: No, triste.
Stéphane: Triste sarebbe barare con le parole.
Camille: Appunto, le sue sono soltanto parole. Questo suo sminuire tutto. Da cosa deve proteggersi?
Stéphane: Mai giocato a carte così scoperte.
Camille: Lei non è così, perché nessuno è così, non può essere, è soltanto una posa.
Stéphane: Cosa vuole, che mi inventi un bambino dalle storie terrificanti, un’infanzia infelice, delle frustrazioni sessuali, delle vocazioni mancate? Niente di tutto ciò. Sa cosa, i miei fratelli mi dicevano che ero tendenzialmente ipocrita e bugiardo. Forse avevano ragione.
Camille: E’ strano il piacere che prova a dare di sé un’immagine sgradevole. Le riesce facile, vero?
Stéphane: Ha ragione, mi scusi.
Camille: Si comporta come se le emozioni non esistessero. Ma lei ama la musica.
Stéphane: La musica…è il sogno
.

Stéphane e Camille in auto, dopo un concerto di Camille.

Camille: Ho suonato solo per lei Ho parlato a Maxime di noi. E’ stato difficile. Lui ha ascoltato. Gli ho detto quello che ci sta succedendo. Io ti desidero. Non sono di quelle che si buttano tra le braccia di un uomo. Tutto qui.
Stéphane: Non credo di poterti dare quello che cerchi.
Camille: Lo cerchi anche tu e io te lo sto offrendo. So come sei fatto e ti accetto per quello che sei. Tu ti sei costruito intorno un muro alto, ma non mi fa paura. Sono qui per te, guardami. Non puoi più vivere così. Devi accettare che qualcosa cambi dentro di te.
Stéphane: Camille, tu sei bella, rara, diverrai una grande violinista. Hai tutte queste doti, doti ingombranti forse.
Camille: E allora?
Stéphane: Vuoi a tutti i costi che io sia come tu mi immagini: un’altra persona: Ma io sono come sono:
Camille: Smettila di mentire, è talmente semplice.
Stéphane: Devo dirti la verità: è vero che ho pensato di sedurti, ma non per amore, per gioco, un dispetto a Maxime, per gioco, deciso a tavolino.

Camille: Le cose vanno vissute, non decise.
Stéphane: Tu non capisci, Camille, parli di sentimenti che non provo, che non esistono, ai quali non ho accesso. Io non ti amo. So solo…
Camille: No, non dire più niente. E non guardarmi
(Esce dall’auto di Stéphane, sale su un taxi che parte e va incontro al buio della sera).

Stéphane va a casa di Camille, che è in partenza per una serie di concerti.

Camille: Sto mettendo ordine, partiamo per la tournée. C’è tanto da fare
Stéphane: Non sono qui per chiedere scusa. Volevo vederti.
Camille: Ecco.
Stéphane: Starai via per molto?
Camille: Tre mesi, spero che vorrai dimenticare quelle cose orribili che ti ho detto.
Stéphane: Erano vere. Io so che non sono niente. Amo il mio lavoro e lo faccio bene. Ma tu hai ragione, c’è qualcosa dentro di me che non vivo. Non riesco a…ho continuato a concedermi proroghe. Ho fallito con te e ho perso Maxime. Sì, mi rendo conto che non sono gli altri che distruggo, ma me stesso e non ha senso che continui a ripetermelo da solo. Dovevo dirlo a te.
Camille: Me l’hai detto, ma ora mi sento svuotata io.
(Stéphane esce dall’appartamento di Camille. Si sente la porta che si rinchiude alle sue spalle.
Stéphane si gira verso la porta. Gli occhi sono spalancati, il suo sguardo è terribile).

Sautet costruisce un film apparentemente semplice, ma di fatto molto sottile e delicato, le cui immagini sono ottenute per sottrazione.
La struttura psicologica di Stéphane, cioè sostanzialmente un attaccamento evitante e una sorta di iperprotezione dalla sofferenza (non amare per non soffrire) è resa da una recitazione equilibratissima di Daniel Auteuil, fatta di sguardi sorpresi, di mimica statica, di movimento impercettibile attraverso il fluire della vita altrui.
Stéphane è un alieno della vita, ma non alla vita, come abbiamo detto. E’ colui che si incarica di dare una morte dolce al proprio maestro, l’unica persona che ha veramente amato, ha attenzione per i bambini (il futuro, forse la vita che lui non ha vissuto, i bambini in casa del maestro, la ragazzina che incomincia a suonare il violino), vede da lontano, ma non estraneo, la vita altrui che si svolge (l’amica Hélène che si sposa, il lavorante che interrompe il lavoro perché la ragazza lo è venuto a prendere)
Stéphane è sostanzialmente uno spettatore e, come abbiamo accennato, un personaggio metafora dell’arte del vedere, cioè sostanzialmente del cinema.
Ma è un cinema che sta al di qua dei sentimenti, che pudicamente cerca di attraversarli, senza cadere nella scompostezza dell’immagine piattamente rivelatrice della vita intima, ma accompagnandola con rigore e con affetto.
“Un cuore in inverno” è l’opera di un regista anziano che ha saputo dare uno sguardo ai misteri dell’amore con molta più serenità, meraviglia filmica e cuore primaverile di quanto tanta avanguardia fracassona non abbia mai saputo fare.
Nel capo degli asfodeli che accoglie gli scomparsi dalla vita della settima arte, è piacevole poter pensare Claude Sautet in compagnia di François Truffaut, a discutere di quale inquadratura renda meglio l’indicibilità dell’amore.

Alcuni riferimenti bibliografici di critica cinematografica e di saggistica psicologica.

FRANCESCO DONFRANCESCO (a cura di). L’anima appassionata. Raccolta di saggi in “Anima”, n. 19, 2005. Moretti e Vitali Editori.
GIORGIO FICARA. Casanova e la malinconia. Einaudi. 1999.
EUGENIO BORGNA. Le intermittenze del cuore. Feltrinelli. 2004.
JOSEPH REDFEARN. Il mio Sé, i miei molti Sé. La Biblioteca di Vivarium. 2004.
HENRI LABORIT. Elogio della fuga. Oscar Mondatori. 1990.
PAOLO LEGRENZI. La felicità. Farsi un’idea, il Mulino Editore. 1998.
NICO FRIJDA. Emozioni. Il Mulino. 1990.
MARINA VALCARENGHI. L’insicurezza. La paura di vivere del nostro tempo. Bruno Mondadori. 2005.
DE ZULUETA. Dal dolore alla violenza. Raffaello Cortina Editore. 2001.
PETER SCHELLENBAUM. La ferita dei non amati. Red Edizioni. 2002.

GABRIELE PEDULLA’ (a cura di). Claude Sautet. Dino Audino Editore. 1996.
ERMANNO COMUZIO. “Un cuore in inverno”. “Cineforum”, n. 321, Gennaio-Febbraio 1993.

RENATO de POLO. “Un cuore in inverno” in www.psychomedia.it/cine@forum/cuore.htm
GIAN PAOLO PRANDSTRALLER. “Discorso sull’amore difficile” in gianpaoloprandstraller.it

Giovanni Lancellotti
Psicologo psicoterapeuta SCRIPT Centro Psicologia Umanistica

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