Rosella Picchi

Come si può conoscere se stessi?
Non mai attraverso la contemplazione, bensì attraverso l’agire

Goethe
(massime e riflessioni)

Le origini.

Nella storia della psicologia e della psichiatria dinamica Jacob Levi Moreno (Bucarest 1889, Beacon, N.Y, 1974) entra come il creatore dello psicodramma e uno dei principali inventori della psicoterapia di gruppo.
A lui si deve l’idea rivoluzionaria di aiutare l’individuo intervenendo sul suo sistema di relazioni interpersonali. Con l’invenzione dello psicodramma da parte di Moreno entrano nella psicoterapia i metodi “attivi”. In essi viene fatto ricorso al linguaggio del corpo e ad una regia terapeutica basata sul fare oltre che sul dire.
Nel primo decennio del secolo, a Vienna, Moreno compie le sue prime esperienze d’animazione spontanea con bambini, profughi e prostitute. In quegli anni Moreno, tra interessi di natura religiosa, teatrale e sociale, studia filosofia e medicina.
Col manifesto “Invito ad un Incontro” (1914), la fondazione del Teatro Improvvisato e il Giornale Vivente (1921), Moreno inverte i ruoli tra platea e palcoscenico e invita gli spettatori a metter in scena prima la cronaca quotidiana della città poi la loro realtà personale. Nasce così lo psicodramma.
Nel 1925 Moreno si trasferisce negli Stati Uniti da dove i suoi metodi terapeutici si diffondono in tutto il mondo insieme al suo pensiero sociologico e ai metodi della sociometria. Il testo fondamentale dello psicodramma è il suo Manuale pubblicato nel 1947 in tre volumi.
Sono passati oramai 20 anni dalla morte di Jacob Levi Moreno e a tutt’oggi la prassi e la letteratura psicodrammatica mostrano una consistenza presenza in quelle parti del mondo in cui la psicologia trova applicazioni professionali nell’ambito clinico-terapeutico ed in quell’educativo formativo.
Questa notevole produzione d’esperienze non trova però fondamenti e presupposti unitari e univoci. Ciò avviene perché il termine psicodramma si è notevolmente dilatato, giungendo a mettere insieme approcci psicologici non riconducibili ad un’unica matrice. L’elemento comune a tali approcci sta nel fatto che essi ricorrono alla rappresentazione scenica anziché al resoconto verbale ma altri aspetti del metodo originario sono rimasti misconosciuti o addirittura fraintesi. Probabilmente questa profonda e ampia diversificazione è avvenuta al fatto che Moreno divulgava il suo metodo soprattutto attraverso dimostrazioni pubbliche durante le quali era facile rimanere coinvolti dalla forza e dall’efficacia della rappresentazione scenica mentre il substrato teorico rimaneva sullo sfondo. Dunque ad oggi esistono diverse scuole di riferimento dello psicodramma, dallo junghiano, all’analitico, al lacaniano.
Noi oggi ci occuperemmo dello psicodramma classico, ossia dello psicodramma che si fonda sui principi e sulla metodologia indicati dal suo ideatore J. L. Moreno.

Cosa intendiamo dunque quando usiamo la parola psicodramma classico?

Di un metodo di approccio psicologico che consente alla persona di esprimere, attraverso la messa in atto sulla scena, le diverse dimensioni della sua vita e di stabilire dei collegamenti costruttivi fra di essi. Lo psicodramma facilita grazie alla rappresentazione scenica lo stabilirsi di un intreccio più armonico tra le esigenze intrapsichiche e le esigenze della realtà e porta alla riscoperta della propria creatività e spontaneità.
L’approccio psicodrammatico classico comprende la teoria e la filosofia moreniane, che si sviluppano a partire da alcuni cardini concettuali di base.
Il primo è la concezione dell’Io-Dio, ovvero la centralità del soggetto, come potenziale creatore del suo destino e delle sue relazioni vitali; da qui si evince il corollario base ossia il valore ed il rispetto della soggettività.
In secondo luogo vi è il fattore Spontaneità – Creatività.
La spontaneità è per Moreno “la risposta adeguata ad una situazione nuova o una risposta nuova ad una situazione già conosciuta”. Per Moreno nell’atto concreto della spontaneità e la creatività sono intimamente fuse. Se manca lo stato di spontaneità la creatività rimane inerte nascosta, qualunque sia la sua entità potenziale. L’atto privo di spontaneità è l’atto meccanico, stereotipato, ripetitivo. La spontaneità è l’elemento che ha permesso l’evoluzione della vita dalle forme primordiali a quelle più evolute.
La spontaneità stimola a trasformare la realtà, a rompere gli schemi ad evitare le cristallizzazioni. Essa porta ad affrontare i rischi del cambiamento.
L’ansia è per Moreno una funzione della spontaneità.
Se c’è pienezza di spontaneità cioè l’individuo è privo di ansia, in assenza invece di spontaneità c’è un trabocco di ansia fino ad arrivare allo stato di panico.
Altro punto centrale è l’idea dell’Incontro ossia il regno della reciprocità, spazio di libertà e di creazione relazionale. Alla base dell’incontro vi è la convinzione che ogni essere umano è dotato della capacità di costruire rapporti empatici e reciproci con altri esseri. Questa capacità è definita tele e si caratterizza come elemento fondante delle relazioni umane.
Strettamente collegata al punto precedente vi è la concezione dell’individuo com’essere dotato di possibilità creative e trasformative del suo destino, più che come un soggetto dominato e condizionato dalla sua storia. Questa concezione si allarga ai gruppi, concepiti come luoghi di possibili trasformazioni positive.
L’approccio psicodrammatico classico ha dunque questi come i principi cardine su cui poggia le basi che costituiscono a loro volta sia un criterio di lettura dell’individuo e dei gruppi sia una concezione della relazione.
L’approccio psicodrammatico si traduce operativamente nel metodo psicodrammatico.

Nel vivo del metodo psicodrammatico.

Il metodo psicodrammatico contempla la centralità dell’azione. Pertanto il lavoro consiste nella necessità di creare le condizioni per l’azione, farla succedere concretamente e di utilizzarla successivamente come occasione d’apprendimento e di insight emotivo-cognitivo.

Da un punto di vista temporale il metodo prevede tre fasi:

1. Il riscaldamento
2. L’azione-rappresentazione
3. Lo sharing o partecipazione dell’uditorio

  1. Il riscaldamento parte dall’idea che la spontaneità deve essere facilitata in un ambiente psicologico e relazionale favorevole all’azione del singolo e del gruppo.
  2. L’azione e la rappresentazione costituiscono il cuore dell’azione psicodrammatica.
    Sia che esse vengano centrate sul singolo che sul gruppo. In un contesto che unisce teatralizzazione e ritualità l’azione e la rappresentazione diventano occasione di conoscenza, elaborazione e integrazione della tematica rappresentata.
  3. Lo sharing è il momento della condivisione, dell’elaborazione e dell’integrazione dell’attività psicodrammatica. Momento di condivisione gruppale, attraverso modalità intersoggettive che facilitano l’emergenza e il rispetto della soggettività.

Lo psicodramma è dunque un metodo di sviluppo personale basato essenzialmente sulla messa in azione dei contenuti del mondo interno. La persona gioca, concretizzando sulla scena le sue rappresentazioni mentali.

In uno psicodramma la persona impegnata nella ricerca di sé (protagonista) trova il sostegno di:

  • lo psicodrammatista, il professionista qualificato che facilita il processo.
  • il gruppo di persone che creano l’ambiente adatto alla messa in scena dei ruoli richiesti dalla rappresentazione.
  • Spazio d’azione (palcoscenico) nel quale si sviluppa la messa in scena.
  • Messa in azione, stimolata dallo psicodrammatista.

Sul palcoscenico il protagonista è attivamente impegnato a conoscersi ed a sviluppare le sue risorse; egli ascolta le diverse parti del suo mondo interno e relazionale, i suoi dubbi, le sue domande, i suoi talenti, i suoi blocchi, i suoi desideri, i suoi bisogni. Così facendo egli avvia un dialogo interno che lo conduce a cogliere possibili soluzioni ai suoi conflitti intrapsichici e/o di relazione col mondo esterno. In questo suo procedere egli trova stimoli e conferme nella partecipazione e nell’appoggio sia dello psicodrammatista che del gruppo.
Con lo psicodramma la persona è messa in condizione di ri-sperimentare delle situazioni piuttosto che di raccontarle. La persona può parlare con le diverse parti di sé, parlare con le diverse persone della propria vita (ora interiorizzate) piuttosto che parlare di loro.
Grazie ad un dialogo attivo che la persona sviluppa con se stesso, la persona può intraprendere la via di un cambiamento che conduce ad una maggiore autonomia e alla spontaneità.

Moreno quando illustrava lo psicodramma amava partire dalla descrizione degli strumenti presenti nella sua metodologia. Egli li descrive in Who shall survive? 1953 (pagg. 81-84) e nell’introduzione alla quarta edizione 1977 di Psychodrama Volume First. Tali strumenti sono il palcoscenico, il soggetto, il direttore, lo staff di io-ausiliari e l’uditorio:

Il palcoscenico:
è il luogo in cui le persone esprimono i propri contenuti mentali concretizzandoli. L’interno del teatro di psicodramma è diviso in due parti: un uditorio dove si riuniscono le persone che non sono il protagonista, la balconata e il palco dove il protagonista con l’ausilio del direttore e del suo alter ego mettono in azione la scena. Si tratta di uno spazio completamente isolato sia acusticamente che dalla luce esterna allo scopo di favorire una concentrazione sul qui e ora richiesta dalla scena psicodrammatica in atto.

Il soggetto:
meglio definito da Moreno come protagonista per esprimere la centralità della persona nello psicodramma intesa come portatrice di indiscutibile verità soggettiva.
Il direttore chiamato anche psicodrammatista è all’interno della sessione il capo terapeuta, il promotore dell’azione, l’analista del materiale emotivo via via emergente. Il direttore è una presenza attiva e propositiva, non un osservatore che tende a rimanere neutro. Il direttore non procede con una formulazione verbale dell’interpretazione ma un’interpretazione indiretta attraverso la scelta delle attività e la sequenza delle scene, ossia attraverso la scelta di una vera e propria strategia di lavoro.

Io-ausiliari:
ogni membro del gruppo che venga scelto dal protagonista per giocare una parte nella rappresentazione psicodrammatica che si sta svolgendo e che per questo si è staccato dal palcoscenico a fare l’attore.
L’alter ego è invece la persona che il protagonista chiama a personificare se stesso.

L’uditorio: 
una volta emerso il protagonista, gli altri membri del gruppo si ritirano nello spazio riservato a chi non è direttamente impegnato nella rappresentazione psicodrammatica. Non direttamente coinvolti essi vengono emotivamente coinvolti e rimangono strumento d’aiuto per il protagonista per la durata dell’intera sessione (nel ruolo di doppi, di io ausiliari, di alter ego).

I meccanismi mentali attivati nello psicodramma.

Vengono stimolati tre modi di funzionamento mentale in chi vive l’esperienza psicodrammatica che corrispondono anche a tre tecniche proprie della metodologia psicodrammatica:

  1. La funzione di doppio
    Si ha nel momento in cui il protagonista viene invitato a fermarsi e porre attenzione a ciò che gli sta passando dentro, spesso questo avviene su stimolo del direttore che facilita la verbalizzazione nell’interazione tra a e b, a offre degli stimoli a b per avviare un discorso interiore e facilitare il dialogo con se stesso
  2. La funzione di specchio
    Un’interazione capace di produrre una dinamica mentale grazie alla quale un individuo coglie aspetti di se stesso nelle immagini relative alla sua persona costruite dagli altri ed al lui rimandate.
  3.  La funzione di inversione di ruolo
    Si attiva nel momento in cui la persona si mette dal punto di vista di un altro e ne percepisce il peculiare modo di sentire, sia nel momento in cui vede se stessa con gli occhi di un altro.

Un altro meccanismo mentale presente nel lavoro psicodrammatico è La catarsi nel suo aspetto abreativo ma anche in quello integrativo.
Si tratta di un evento cognitivo-emotivo che consente la liberazione di emozioni e l’insight. Possiamo distinguere tra catarsi abreativa ossia la liberazione di emozioni a lungo contenute o negate e la catarsi di integrazione che si riferisce al graduale lavoro di ristrutturazione del campo percettivo nel corso del lavoro psicodrammatico e che consente l’insight. I due processi sono strettamente connessi nello psicodramma, per cui è preferibile parlare di integrazione catartica più che di catarsi.

Gli ambiti di applicazione dello psicodramma.

Le sessioni di psicodramma (durata media di una sessione: 2 ore) possono essere finalizzate alla crescita personale (quando la partecipazione al lavoro psicodrammatico sia essenzialmente orientata alla conoscenza di sé ed all’armonizzazione delle esigenze interne alla persona con le richieste della realtà) o alla formazione professionale (quando la partecipazione al lavoro psicodrammatico sia orientata primariamente ad acquisire una maggiore competenza nel gestire professionalmente le relazioni interpersonali.
L’intervento formativo può assumere la forma di una sessione di psicodramma con le caratteristiche fin qui descritte: lavoro con il gruppo, con il protagonista e partecipazione finale. Ma la necessità di non cadere nell’ambito del privato richiede al formatore particolare fermezza ed anche l’utilizzo di altre tecniche di intervento diverse dallo psicodramma pur se fondate sui medesimi assunti (teoria del ruolo, fattore s/c, relazione telica) tra queste il role playing che è forse la tecnica di derivazione moreniana più utilizzata in ambito formativo, pedagogico e clinico, il role training inteso come strumento di apprendimento al ruolo, il play back theatre ossia una forma teatrale nella quale lo staff di attori mette in scena all’istante le storie narrate dal pubblico, che può rispecchiarsi in esse ed il sociodramma inteso come trattamento psicodrammatico di problemi o situazioni sociali o familiari.

Per concludere.. 
Non penso che lo psicodramma possa essere realmente descritto. Oramai quasi alla fine del quadriennio di formazione, posso dire che il farne esperienza ha significato, fare un volo tra immagini colorate dal cuore, sculture vive che si imprimono nella carne, occhi che guardano, luci di incontri, corpi che si incontrano e dialogano come non sanno fare le sole parole, paura e stupore. Insomma un’esperienza intensa, dove la gente si incontra, si conosce intimamente e si lega agli altri con un senso di profonda gratitudine, come compagni di anima in un volo ad ali spiegate nella ricerca di sé. E’ l’essere totalmente coinvolti, in senso fisico e mentale, nell’esperienza che ne delinea tutto lo spessore e l’intensità. C’è poi una cornice di magia che accompagna l’esperienza per il fatto di essere completamente assorbito dalla realtà nuova che si crea nel qui e ora del palcoscenico. Il contesto teatrale non è solo piacevole cornice, ne costituisce la trama, ne esalta le potenzialità e dà profonda dignità alle storie portate.
Il flusso dei ricordi va assecondato e seguito, il teatro non aspetta che questo, come una nave chiede solo di partire. Ma chiede anche coraggio e passione.
Non importa quanto e come si partecipa a quest’esperienza perché sia il protagonista che l’io ausiliare che il membro dell’uditorio compiono veramente un tuffo nel vortice della propria vita. Ed è magia.

A tutt’oggi uno dei contributi sostanziali di Moreno rimane a mio avviso l’aver concepito che una persona potesse diventare agente terapeutico per un’altra fondando la sua concezione della psicoterapia di gruppo proprio sulla funzione terapeutica della relazione.
Per Moreno un Io ed un Tu stabiliscono un vero rapporto di reciprocità soltanto quando ognuno dei due riesce ad immaginarsi ed a sentirsi nei panni dell’altro. In tale modo essi realizzano l’incontro, cioè lo stare insieme, il ritrovarsi, l’essere in contatto fisico, il vedersi ed osservarsi, il condividere, l’amare, il comprendersi, il conoscersi intuitivamente attraverso il silenzio o il movimento, la parola o il gesto.

Tra il 1914 e il 1915 vengono pubblicati tre libretti dal titolo “Invito ad un Incontro” (Einladung zu eine Begegnung) che contengono una raccolta di brevi saggi e poemi scritti da Moreno a partire dal 1908. L ’opera è una sorta di summa filosofica del pensiero di Moreno fino a quel momento. Nel secondo libretto si trova il poemetto “Invito ad un incontro” che sarebbe diventato il motto di Moreno:

Ne riportiamo gli ultimi versi:

Un incontro a due:
occhi negli occhi, volto nel volto.
E quando tu sarai vicino
io prenderò i tuoi occhi
e li metterò al posto dei miei
e tu prenderai i miei occhi
e li metterai al posto dei tuoi,
allora io ti guarderò coi tuoi occhi
e tu mi guarderai coi miei.
Così anche la cosa comune invita al silenzio e
il nostro incontro rimane la meta della libertà:
il luogo indefinito, in un tempo indefinito,
la parola indefinita per l’uomo indefinito

(Invito ad un incontro -parte 2- 1915)


Bibliografia:
Boria. G, Lo psicodramma classico, Angeli, Milano, 1997

Cocchi. A, La mente sul palcoscenico, Gio Editing, Bologna, 1997

Dotti. L, Forma e Azione, Angeli, Milano, 1992

Verrua. G, Invito allo psicodramma classico, supplemento di Maieusis, 2001

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